Lorenzo Lotto indagatore dell'anima

Un approccio artistico alla relazione d’aiuto

 (di A. Farinaro - curato da V. Aucone)

Introduzione

L’arte e la psicologia hanno spesso trattato ambiti complementari. Del resto è lo stesso Freud a sottolineare le relazioni esistenti tra le due discipline. In molti casi l’arte ha addirittura anticipato alcune tematiche riprese successivamente dalla psicologia. In un certo senso, sono stati i poeti e gli artisti a scoprire l’inconscio e ad osservarlo meglio e più in profondità di quanto non facciano gli stessi esperti della psiche. Ecco perché Freud nel corso dei suoi studi prenderà in esame anche personaggi, temi e situazioni della letteratura antica e moderna (Omero, le tragedie di Sofocle, Shakespeare, Goethe, ecc.).

Per il padre della psicoanalisi la produzione artistica deve essere concepita in stretta analogia con la produzione onirica. L’arte come il sogno è una via che porta l’individuo a esprimere i propri desideri inconsci insoddisfatti. Il soddisfacimento del desiderio si raggiunge attraverso la sublimazione e l’arte, in quest’ottica, si presenta come la forma più evidente e importante della sublimazione.

Jung riprende le considerazioni di Freud per esprimere però un punto di vista nettamente differente. In opposizione a Freud, Jung sostiene che non possiamo risolvere l’arte in psicopatologia. Secondo Jung, l’opera d’arte solo in parte riflette la psicologia individuale dell’autore, ma è anche l’espressione di significati e simboli appartenenti all’inconscio collettivo. Umberto Galimberti ci aiuta ad interpretare questo passaggio affermando che se l’opera d’arte viene letta a partire dalla biografia dell’artista la si nega come opera d’arte, perché la si afferma come sintomo di una malattia.

“Ma l’arte è arte non in quanto sintomo, ma in quanto simbolo di una composizione di senso che l’umanità per la prima volta ha raggiunto ed espresso in quell’opera. Con ciò non si vuole negare che nell’arte si esprimono anche nevrosi o psicosi dell’artista, ma l’arte è arte proprio perché la nevrosi e la psicosi hanno superato la loro espressione clinica per farsi veicolo di un linguaggio che l’umanità è riuscita a raggiungere solo in quella forma, in quell’opera d’arte.”

Mentre per Freud l’inconscio è il luogo che si forma attraverso la rimozione di desideri e istinti sessuali, secondo una logica causale e materialistica, per Jung esso rappresenta il luogo da cui genera la coscienza, che dunque ha già una sua autonomia. A tale concetto si lega la nozione di archetipo. Gli archetipi sono immagini primordiali, metafore primarie, collettive e immutabili, intese come una sorta di kantiane “forme a priori”, che concorrono alla formazione dei simboli o di immagini fantastiche. Come afferma Hillman “ogni percezione del mondo e sensazione interiore, deve passare attraverso un’organizzazione psichica per poter anche solo «avvenire». Ciascun sentimento od osservazione si manifesta come evento psichico innanzi tutto attraverso la formazione di un’immagine fantastica”.

Hillman utilizza il termine immagine fantastica in senso poetico, proponendo una base poetica della mente. L’immaginazione è dunque quel processo che permette all’individuo di proiettarsi al di fuori di sé, nel senso di trascendere la sua condizione materiale, attraverso la produzione di immagini, significati, simboli.

Allo stesso modo l’arte ha la capacità, attraverso la rievocazione simbolica, di influenzare la vita psichica. Hillman sostiene che questo aspetto “i greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo e una psicopatologia, contrariamente a noi …”.

Attraverso la mitologia e la tragedia i greci costruirono un’impalcatura in grado di sorreggere la persona dai turbamenti dell’anima. Con le loro opere avevano creato una catarsi spontanea, una modalità tutta artistica che fungeva contemporaneamente da specchio, confessione e redenzione.

Oggi l’arte-terapia e il counseling artistico dovrebbero ispirarsi proprio a questa concezione classica, quando pongono l’arte al centro dei loro interventi relazionali. D’altronde la rappresentazione artistica, vista attraverso l’applicazione del counseling e della terapia - qualsiasi linguaggio essa utilizzi: musicale, pittorico, poetico, teatrale, ecc, - ha la capacità di far emergere contemporaneamente diversi aspetti della personalità umana che altrimenti rimarrebbero celati. Come il sogno nega i principi della materia (spazio, tempo e causalità) così l’opera artistico-terapeutica porta a percepire simultaneamente ciò che prima era separato per incompatibilità.

Quello che appare da subito evidente è soprattutto l’immediatezza della comunicazione simbolica. Più che l’interpretazione di un gesto, di una espressione o di un significato, ciò che induce al cambiamento è proprio la forza del segno e della metafora comunicata dall’opera artistica. Come sostiene Hillman con tale approccio “i segni del miglioramento verrebbero da tutto quello che ha a che fare con il dar forma – il parlare, il teatro, il vestire, l’atletica, il movimento, il gesto – piuttosto che dall’intuizione, la comprensione, l’equilibrio emotivo, l’essere in relazione”.

Questo punto di vista provocatorio che mette l’estetica al primo posto, aiuterebbe a reimmaginare il lavoro dell’arte terapia e del counseling artistico come strumenti di cambiamento attraverso il recupero del simbolo, sempre più svuotato oggi dei suoi contenuti umani e spirituali, in nome di un consumismo sfrenato e di un utilitarismo materialistico che influenza ogni dimensione della vita.

Attraverso questo atteggiamento artistico-terapeutico utilizzato nel counseling è la relazione stessa soprattutto a giovarne, in quanto capace di svincolarsi dalle maglie limitanti di una semplice psicologia dell’io. Quella relazione, cioè, che oltre ad essere espressione di uno scambio soggettivo, dove vengono messi in gioco emozioni, vissuti e significati personali, diventa espressione di un simbolo rianimato, in quanto esprime contenuti che vanno oltre l’individuo stesso e la sua soggettività.

È da tale premessa che nasce la scelta di analizzare l’opera del Lotto in ambito del counseling, in un’ ottica ribaltata, dove appunto è l’arte a darci quegli spunti di analisi della relazione finalizzati all’aiuto dell’altro. È l’arte cioè con il suo linguaggio simbolico, con la sua creatività, con la sua immaginazione, con la sua metafora, con la sua poetica ad orientare lo scambio relazionale e a dare al counselor quegli strumenti utili per calarsi nella relazione e leggere la complessità del suo significato.

L’opera artistica di Lorenzo Lotto indaga l’animo umano integrando gli aspetti psicologici, attraverso la cura dei dettagli delle espressioni non verbali – postura, sguardo, movimento delle mani, movimento delle labbra, ecc. –  con quelli simbolici, che danno un significato a ciò che non può essere ridotto a semplice espressione di un vissuto soggettivo, ma che si arricchisce di una lettura culturale, religiosa e poetica della persona. Tutta l’opera del Lotto può essere letta come una costante comunicazione tra sacro e profano, tra materia e spirito, con uno stile artistico e una pratica del colore e della luce usati con una modernità che richiama certi modi degli impressionisti.

Ma sono soprattutto i ritratti del Lotto a coglierci di sorpresa, per la loro capacità di esprimere gli aspetti interiori dei personaggi con i quali l’autore sembra entrare in un dialogo intimo. Al Lotto non interessa fissare come obiettivamente è la realtà a fini documentaristici, ma come è nel rapporto con l’altro, nella sua espressione del momento. Ecco perché i soggetti ritratti sono persone che danno uno spaccato del tempo, tra cui, oltre ad esponenti di professioni elevate troviamo anche persone semplici, mercanti, popolani, colti nella loro naturalezza, senza ornamenti o decori che ne debbano necessariamente esaltare la fama, la ricchezza o il potere.

Nel Triplice ritratto di orefice (1529 circa), il Lotto sembra voler comunicare che la realtà non è semplicemente come appare ma può essere vista da punti di vista e angolature differenti. L’opera può essere letta come una sorta di Gestalt, dove in primo piano si alternano tre diverse espressioni del protagonista (una frontale, una di profilo e una a tre quarti). Le tre pose non possono essere viste contemporaneamente ma allo stesso tempo una non esclude le altre che ne caratterizzano il retroscena. Nel counseling integrato che utilizza un approccio gestaltico, il counselor si pone come interlocutore privilegiato che agevola la relazione proprio partendo da quello che il cliente pone in figura, integrandolo con le altri parti della sua personalità di cui è meno consapevole e con il mondo di valori e significati in cui si trova a vivere.

Lorenzo Lotto indagatore dell’anima

«O Lotto, come la bontà buono e come la virtù virtuoso(…) Lo essere superato nel mestiero di dipingere, non si accosta punto al non vedersi egguagliare né l’offizio de la religione. Talchè il cielo vi restorarà d’una gloria che passa dal mondo la laude».

Con queste parole, Pietro Aretino (1492-1556) scrittore, poeta e drammaturgo italiano, nel Quarto libro delle Lettere del 1548, rivolgendosi a Messer Lotto, ne sentenziò una lunga stagione di oblio che lo vedrà quasi totalmente dimenticato; bisognerà attendere il XIX secolo per assistere ad un suo riscatto.

Sarà lo storico dell’arte statunitense Bernard Berenson (1865-1959) a sancirne la piena riscoperta nel 1894 con l’uscita del volume Lorenzo Lotto. An Essay in Constructive Art Cristicism, edito sull’onda della psicoanalisi freudiana e celebrato come colui che “ha portato alla luce la vita interiore sul volto”.

In tempi più recenti, Pietro Zampetti (1913-2011), nell’introduzione alla mostra dedicata a Lotto nel 1953, lo definiva “Un pittore unico, non solo nella storia dell’arte italiana, ma europea, genio rivelatore, senza precedenti, della propria anima, non staccato dai suoi personaggi, ma vivo e in essi presente”.

Veneziano di origine, Lotto percorrerà la tranquilla provincia veneta, marchigiana e lombarda, per giungere, nel 1509, anche alla corte romana di Giulio II dove parteciperà al grande cantiere delle Stanze Vaticane. Qui avrà modo e occasione di lavorare e conoscere artisti del calibro di Michelangelo e di Raffaello.

Probabilmente, la sua straordinaria inventiva e la sua poetica lo contrapposero al classicismo di Raffaello, il quale proponeva in fondo una ricetta abbastanza semplice e replicabile, come si vede nei suoi ritratti, dal taglio e dalla posa sempre identici.

Dopo appena un anno abbandonerà quindi ogni incarico romano, per riprendere quell’inquieto vagabondare che lo condurrà all’emarginazione, in parte subita e in parte voluta, per concludere la sua vita nella Santa Casa di Loreto, nelle marche, tra il 1556 e il 1557. Lui stesso si racconterà, ormai sessantaduenne come “Solo, senza fedel governo, e molto inquieto nella mente”.

Difatti il mondo non ha mai purtroppo accettato che un artista, attraverso la sua produzione, potesse esprimere una nuova bellezza fautrice di una nuova mentalità e di una nuova ragione, inducendo pertanto ad una rivoluzione totale. Più moderni della società che li ospitava, artisti come Lotto, Rembrandt, Caravaggio e Van Gogh, solo per citarne alcuni, si ritrovarono ai suoi margini, quasi come fossero ospiti indesiderati.

La poetica di questo singolare artista, nato nel Quattrocento, ma anticipatore dell’arte e della poetica barocca, è del tutto autonoma ed originale, tanto da non rispondere ai criteri e ai parametri della produzione artistica a lui contemporanea più in voga rappresentata da Raffaello e da Tiziano. Partendo dalle suggestioni compositive del veneziano Giovanni Bellini, Lotto apprende da Antonello da Messina, conosciuto attraverso l’opera del veneto Alvise Vivarini, a guardare l’animo umano e a “raccontarlo”, in una narrazione che ha come riferimento un altro grande artista, esponente della pittura nordica: il tedesco Albrecht Dürer.

Dunque la sua produzione è il risultato artistico di una sintesi personale fatta di luce fredda e piani prospettici taglienti, caratteri che si pongono in contraddizione alla morbidezza e alla fusione coloristica dei veneziani e di Giorgione in particolare. I ritmi serrati della sua composizione, si veda ad esempio il Cristo porta croce, Parigi, Louvre, la comunicazione degli sguardi, come nell’Annunciazione di Recanati, Pinacoteca Villa Colloredo Mels Recanati, le attitudini varie dei personaggi, il realismo lenticolare dei particolari, la natura interpretata come misteriosa ed inquietante, rappresentata nel San Girolamo Penitente, Museo di Castel Sant’Angelo, Roma, espressione di una religiosità intima e sofferta, fecero dire al Berenson che “Nessuno riesce a cogliere la dolcezza di uno sguardo, a cercare di parlare con i suoi personaggi come Lorenzo Lotto”.

Sarà soprattutto nella ritrattistica che Lotto raggiungerà una dimensione espressiva ideale; in essa dimostra una acuta sensibilità, un’eccezionale attitudine ad interpretare l’inquietudine interiore e morale dei suoi personaggi, i quali risultano indagati nella loro realtà più intima.

Il suo interesse psicologico lo induce ad esplorare gli effetti e il complesso variare delle impressioni, ad addentrarsi ad indagare il campo della fisiognomica e dell’arte dei cenni.

Il Triplice ritratto di orefice, l’opera eletta in questo articolo a rappresentare la produzione ritrattistica del Lotto, si pone come potenziale emblema di un’affinità ideale con la sensibilità che deve contraddistinguere il Counseling, inteso nella sua accezione più ampia. In esso si evince come l’artista intendesse l’individuo ritratto, non come il protagonista di una storia, ma una personalità precisa.

Egli cerca di cogliere e fermare sulla tela una determinata impressione del soggetto ritratto, prima che quest’ultimo possa mutare l’espressione degli occhi, o i muscoli del volto, prima che subentri un’altra impressione della coscienza.

Lotto si pone come un medium, un counselor che pone delle domande ed interpreta le risposte attraverso il mezzo pittorico.

I suoi ritratti migliori, come l’opera posta in evidenza, appaiono come uno scambio di confidenze, confessioni sfuggite al controllo della maschera.

In essi traspaiono le emozioni, gli ideali, i sentimenti, attraverso quelli che possono essere indicati come i primi ritratti psicologici: egli traduce in immagine la comunicazione non verbale espressa dalla postura, dallo sguardo, dal movimento delle mani, dal silenzio o dal movimento delle labbra.

Lotto inventa dunque il ritratto come dialogo, dove avviene uno scambio sincero tra l’artista e il personaggio ritratto, “Un pittore psicologo in un epoca che stimava quasi soltanto forza e gerarchia, in un paese su cui un rigido cattolicismo rafforzava la sua presa”.

Nella produzione ritrattistica, la presenza dei dettagli simbolici suggeriscono e concorrono a definire le attitudini e le aspirazioni delle personalità ritratte. i simboli divengono espressione di quella parte che non può essere resa attraverso i dettagli fisiognomici, quella dei pensieri e dei sogni. I simboli ci forniscono informazioni circa la fede, gli interessi culturali, le intenzioni morali, le aspirazioni delle persone ritratte.

Ogni personaggio pare colto nell’attimo in cui sta per dire qualcosa, come stesse per esprimere una sua opinione personale o stesse per svelare un mistero.

Più in generale, ogni opera di Lorenzo Lotto, dal ritratto alle opere religiose a quelle mitologiche-allegoriche, diventa un mezzo attraverso il quale innescare pensieri ed interpretazioni. Le sue ideazioni divengono fonti di innumerevoli possibilità di interpretazione, la quale differisce in base alla mente del fruitore, innescando un complesso meccanismo di rispecchiamento: esse risultano adattabili al livello intellettivo di ogni personaggio, in ogni momento cronologico del suo percorso evolutivo, in base alla sua scala dei valori interni. È  dunque la memoria degli spettatori a dare nuovi valori e significati, di volta in volta alle immagini enigmatiche dipinte, contribuendo a conferire loro fascino e mistero.

 

Antonella Farinaro, 

laureata in Conservazione dei Beni Culturali, Università degli Studi della Tuscia; Counselor CIPA