Il Metodo Hansen e l’Art Theatre Counseling

(di A. Salvatore)

Per parlare dell’ Art Theatre Counseling bisogna prima conoscere separatamente cosa è il “Counseling” e cosa il “Teatro”, per poi arrivare ai risultati che si possono ottenere, grazie all’unione sinergica delle due discipline. 

Counseling

Il Counseling è una “relazione d’aiuto”, che consiste nell’applicazione da parte di un counselor di un insieme di tecniche, abilità e competenze tese a facilitare  il cliente nell’uso delle sue risorse personali, e accompagnarlo in un percorso in grado di alimentare la fiducia in se stesso, affinché questi possa trovare la soluzione ad un problema che gli crea disagio esistenziale e migliorare la qualità della sua vita, incrementando le abilità personali necessarie ad aumentare il suo funzionamento adattivo  sia a livello personale che interpersonale.

Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che risale a sua volta dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in "consolare",  composto dalla particella cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare"), nell'accezione "aiuto a sollevarsi" “venire in aiuto”.

Per far ben comprendere meglio in cosa consiste il counseling credo sia importante chiarire cosa non è, e cosa non fa un counselor: non è uno psicologo e non è un terapeuta, pertanto non cura i sintomi e le patologie; non dà soluzione, consigli, interpretazioni o giudizi sui  problemi altrui; non interviene in alcun modo sul cliente con prescrizioni farmacologiche.

L’obiettivo del counselor non è quello di lavorare andando alla ricerca di ciò che non funziona nel cliente e individuare l’origine delle sue difficoltà, ma, al contrario, quello di focalizzarsi sulle risorse disponibili nella persona per affrontare tale difficoltà,  aumentando la consapevolezza rispetto al problema e facendo sperimentare nuove soluzioni e modalità relazionali, in un’ottica di promozione della salute e di prevenzione della malattia.

 

Teatro

La parola “Teatro” deriva dal greco  théatron, che significa "spettacolo", dal verbo  théaomai, ossia "vedo”; nell’accezione comune: “Il Teatro è un insieme di differenti discipline, che si uniscono e concretizzano l'esecuzione di un evento spettacolare che viene visto dal vivo.”

Se penso al potente strumento che rappresenta il teatro per l’uomo,  ritengo la definizione di Teatro sopracitata altamente riduttiva: le attività teatrali, nelle loro diverse applicazioni e metodologie, sono da sempre un valido sostegno alla promozione del benessere dell’uomo, attraverso il lavoro su un personaggio, il teatro non offre solo un prodotto spettacolare da guardare, ma permette di attivare un  processo di crescita personale, conseguenza dell’esplorazione di parti di sé che emergono durante l’immedesimazione  e nell’attore attraverso gli strumenti che il fare teatro e i processi creativi ad esso connessi, mettono a disposizione, promuovendo un integrazione psichica, emotiva, cognitiva, psicosociale, che se ben elaborata può portare ad  una migliore qualità di vita dell’individuo.

Moreno, psichiatra statunitense fondatore del teatro della spontaneità nel 1921 a Vienna, e ideatore dello psicodramma, riteneva che:  “L’attività teatrale è strettamente connessa alla spontaneità che consente l’espressione svincolata, libera dal pensiero razionale; un processo creativo in cui l’immaginazione è prontamente collegata all’azione, priva di vincoli che possano influenzare la comunicazione … buona parte dei disturbi psichici e sociali di cui soffre l’umanità può essere attribuita ad un’insufficiente effusione della spontaneità. Ne consegue che l’arte di indurre gli uomini a servirsi della loro spontaneità è quanto di più utile possono usufruire gli uomini per  liberarsi dai comportamenti stereotipati e disfunzionali che si radicano nel proprio passato”.[1]

Sintetizzando i punti di convergenza dei diversi insegnamenti che hanno attraversato il teatro contemporaneo negli ultimi decenni, da Jerzy Grotowski a Peter Brook, da Giorgio Strehler a Eugenio Barba, possiamo trovare elementi comuni per una migliore definizione: il teatro è quell'evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore che dal vivo ne segua le azioni, traendo nel qui e ora della rappresentazione una  “catarsi”.  

Aristotele usava il termine “catarsi” parlando della tragedia, per spiegare l’effetto di purificazione dell’animo che lo spettatore esperisce assistendo alla rappresentazione; egli sosteneva che lo spettatore, attraverso la rappresentazione di vicende che suscitano forti emozioni, prova compassione per gli avvenimenti che travagliano i protagonisti del dramma e tensione all'idea che anche lui potrebbe trovarsi in situazioni simili a quelle rappresentate; e nel momento in cui il dramma si scioglierà in una spiegazione razionale dei fatti narrati, catarticamente i sentimenti di compassione e tensione dello spettatore verranno purificati, ovvero scompariranno.

Ritengo che attraverso l’immedesimazione dell’attore e dello spettatore nel personaggio, viene attivato qualcosa di simile ad un processo di trasfert, per cui  i sentimenti  che l’individuo vive nel rapportarsi ad una storia  esulano da ciò che si ha oggettivamente davanti agli occhi in un determinato momento, ma sono strettamente legati a vissuti personali che la rappresentazione teatrale “porta in figura”, ovvero fa emergere.

Nell'accezione psicoanalitica, ma anche nello psicodramma di Moreno, nell'arte-terapia, nelle recenti psicoterapie espressive, il termine "catarsi" viene utilizzato con il significato di "scarica, sfogo, espressione, liberazione di emozioni".

 

Counseling e teatro

Nel mio lavoro di Art Theatre Counselor e regista teatrale, adotto il Metodo Hansen, che integra nell’insegnamento dell’arte teatrale, un processo che abbia valore terapeutico per l’individuo, attraverso la capacità di un regista di avere una duplice competenza, quella artistica alla base del mestiere dell’attore e quella psicologica del counselor.

Attraverso tale metodo, l’arte dell’attore, con tutte le indispensabili tecniche e modalità artistiche finalizzate alla messa in scena, viene utilizzata anche come mezzo per una più profonda conoscenza di sé, a cui segue un cambiamento attivo da parte dell’individuo rispetto al suo stare in  relazione con se stesso e gli altri,  perseguendo un modo di vivere migliore.

Attraverso tale metodo, la “catarsi” avviene quando un individuo riconosce attraverso il personaggio un proprio conflitto che genera disagio, e arriva a risolverlo attraverso il gioco teatrale grazie a un processo attivo di costruzione di senso, che avviene da parte sua a conclusione di un’esperienza scenica, durante il feedback di gruppo che, all’interno di uno spazio protetto, permette di elaborare il proprio vissuto sia all’attore che vive in prima persona il personaggio, sia a chi ne è semplice spettatore.

Secondo il Metodo Hansen il regista che vuole aiutare l’attore ad aprirsi al lavoro teatrale e all’elaborazione del proprio vissuto, deve possedere le stesse abilità di base di un counselor, secondo quanto richiede un approccio rogersiano per effettuare un intervento di comunicazione efficace e istaurare una relazione d’aiuto: accettazione incondizionata con assenza di giudizio, ascolto attivo, comprensione empatica, autenticità di contatto, congruenza tra comunicazione verbale e non verbale, attenzione all’individuo e alle sue potenzialità.

Attraverso la rappresentazione di un personaggio, il cliente-attore può prendere contatto con gli aspetti profondi della sua realtà psicologica ed esistenziale, vedere da una certa distanza qualcosa che gli appartiene e comprenderne il significato durante il feedback, smorzandone l’effetto emotivo immediato.

Nella prospettiva del Counseling Gestaltico, il counselor ha il compito di guidare la persona verso un processo di consapevolezza, sostenendola nel prendere contatto con i propri bisogni, portandola a scoprire e usare le proprie energie presenti, ma spesso misconosciute, e ad esplorare e sperimentare per sé, nuove possibilità di rapportarsi alle situazioni in cui si trova.

Ed ecco che arriviamo all’unione che può esistere tra Counseling e Teatro: entrambi si propongono di mettere un individuo in contatto con se stesso, focalizzando l’attenzione sulla piena e libera espressione individuale, sullo scambio diretto fra le persone, sullo sviluppo della spontaneità, e l’acquisizione di consapevolezza per poi giungere alla scoperta di  modalità comunicative maggiormente funzionali, di cui avvalersi per superare carenze relazionali nel qui e ora di una situazione.

Con il singolo attore, non si  lavora sulle cause psicologiche personali, radicate nelle sue esperienze passate, che lo portano a manifestare in scene diverse, un comportamento caratteristico ripetitivo; ma ci si orienta all’esplorazione delle determinanti attuali di quel comportamento, portando alla consapevolezza del cliente-attore pensieri, sentimenti, emozioni e bisogni che vive nel qui e ora della scena. 

“Dopo aver creato un luogo protetto di rappresentazione delle parti più intime di sé, una persona può scoprire e ristrutturare la propria personalità attraverso il personaggio, lasciando cadere le maschere e accedendo alla propria vera identità, a ciò che può sentire di essere, trovandosi nei panni di ciò che nella quotidianità non è, e non riesce ad essere.”[2]

L’immedesimazione è un processo che prevede una sospensione dell’esistenza presente e l’ingresso in una dimensione parallela, altrettanto reale, descritta da un testo o inventata ex novo.

La capacità di immedesimarsi è correlata all’idea di sdoppiamento, ovvero la possibilità di uscire dalla propria auto rappresentazione e identificarsi in qualcosa di diverso da ciò che si è, consapevoli che identificarsi e partecipare emotivamente alla rappresentazione di un personaggio, non significa diventare davvero quel personaggio, ma portare all’interno di esso parti di sé.

Il Teatro offre in alcuni casi la possibilità di vivere nel qui ed ora della scena il proprio sé verso un’immagine diversa da quella che si è abituati a mostrare o ad auto-osservare, e più vicina a quella che si vorrebbe possedere o si possiede taciuta dentro di sé.

A volte sulla scena ci si sente liberi di esprimere sentimenti, ad esempio, di rabbia e paura, prima di allora mai espressi, talvolta ritenuti totalmente impossibili da sperimentare nella propria vita quotidiana. 

Secondo la Hansen“un individuo sulla scena, ha la possibilità di rivivere, riconoscere alcuni aspetti di se stesso, che altrimenti rimarrebbero inespressi e tutto questo nella certezza  di essere visto e riconosciuto. L’attore  costretto a vivere nel qui e ora della scena deve seguire attimo dopo attimo i propri stati d’animo per tradurli in gesti teatrali, cioè in azioni finalizzate alla comunicazione di un messaggio. Nella vita, vivere nel presente come nella scena, significa non pensare a ciò che dovremmo sentire, ma solo a ciò che sentiamo nel momento preciso che viviamo. Nel tempo succede che, ciò che l’attore sperimenta in scena, lo riporta nella vita, compresa la buona abitudine di vivere nel qui e ora, rapportandosi al quotidiano con maggiore consapevolezza.”

Il processo che porta alla consapevolezza, costituisce il fulcro del cambiamento e la sua natura, più che paradossale, è basata sulla teoria di Beisser, secondo cui la consapevolezza piena  e l’accettazione di ciò che siamo, produce trasformazione e il cambiamento avviene quando una persona diventa ciò che è, non quando tenta di diventare ciò che non è.

Il setting del laboratorio teatrale  si propone come spazio-tempo separato dalla quotidianità dove si crea una sospensione della vita quotidiana a favore dell'esplorazione e della costruzione di modalità diverse non solo di pensare, percepire, muoversi, ma anche di interagire.

Sulla scena le normali regole che orientano le interazioni sociali e comunicative vengono messe in discussione, o comunque sono ridefinite non solo a livello di schemi relazionali, ma anche a livelli di linguaggio, movimento ed emozione.

Dalla mia esperienza attoriale e di conduttrice di laboratori di teatro, ritengo che non ci possa essere teatro, se prima di qualsiasi relazione con un pubblico, un attore - sia esso professionista o improvvisato - non entra in relazione e contatto pieno con se stesso. 

In questo caso, il processo creativo che viene messo in moto, all’interno di un  lavoro teatrale supportato da tecniche di counseling, assume un valore superiore rispetto a quello che è il prodotto, ovvero lo spettacolo rappresentato al pubblico a fine percorso.

Negli anni molti registi che ho incontrato nel mio lavoro attoriale, sostenevano che l’individuo deve essere uno strumento da mettere ad uso e consumo del Teatro per la buona riuscita di uno spettacolo; ciò che ho appreso come Art Theatre Counselor è come tale rapporto  possa essere invertito, trasformando il Teatro in strumento da mettere ad uso e consumo di un individuo che svolge il ruolo di attore all’interno di uno spettacolo, finalizzando il lavoro ad un miglioramento del benessere dell’individuo.  

Personalmente ritengo che il massimo sarebbe evitare un uso e consumo di qualcosa a favore di qualcos’altro, ma tendere ad uno scambio che nutra in modo paritetico sia il Teatro , che l’individuo.

  Il Metodo Hansen  prevede l’insegnamento del mestiere dell’attore attraverso un approccio gestaltico, basato sull’idea dell’esistenza nell’individuo di spinte e motivazioni che ricadono al di fuori della consapevolezza cosciente, che possono essere reintegrate nell’individuo rivolgendo l’attenzione alla sua personale esperienza percettiva che viene organizzata in modo da rispondere a bisogni dell’individuo precedentemente non soddisfatti che influenzano il suo modo di rapportarsi al “mondo”.

L’individuo scopre, osserva fenomenologicamente e integra alcuni aspetti della sua personalità attraverso il ciclo del contatto; che agevola nel cliente-attore: il riconoscimento e l’identificazione delle proprie emozioni; la scoperta delle proprie risorse e potenzialità; lo sviluppo di una comunicazione assertiva nel qui e ora di una relazione; una maggiore consapevolezza rispetto al proprio “spazio vitale” e i meccanismi interiori che lo spingono a comportamenti ripetitivi legati a gestalt incompiute; a riflettere sulle proprie scelte, assumendosene la responsabilità.

Durante i miei corsi di teatro, seguendo le direttive che sono alla base del Metodo Hansen da me utilizzato, l’intero percorso teatrale e ogni singola lezione vengono suddivise in quattro fasi, le stesse presenti nel ciclo del contatto di Perls e Goodman: pre-contatto; contatto; contatto pieno; post-contatto.

Il ciclo del contatto rappresenta il continuum dell’esperienza,  uno schema illustrativo dell’organizzazione ideale di un esperienza, in cui la consapevolezza del qui ed ora conduce a conoscere ciò che si vuole e ad agire per ottenerlo ed, infine, a riflettere sull’intera esperienza.

Durante la fase di pre-contatto  attraverso una guida semi-direttiva si porta il cliente-attore  a percepire se stesso senza giudizio e lo si invita a valutare e accogliere le proprie caratteristiche, mostrandogli la sua unicità e come ciò che sembra un limite, in alcuni casi, può essere trasformato in risorsa.

L’ Art Theatre Counselor agevola il cliente-attore a definire il primo vissuto sensoriale ed emozionale nell’entrare nel ciclo dell’esperienza teatrale e all’interno di un gruppo, rispondendo alla domanda “cosa sento”.

Le attività appartenenti a questa prima fase del lavoro sono: giochi di socializzazione, esercizi corporei pre-espressivi per sperimentare diverse modalità comunicative, improvvisazione libera e semi-strutturata, giochi di vocalizzazione e visualizzazione.

I giochi di attivazione corporea, con i quali si inizia ogni incontro, gli esercizi di pre-contatto e la componente ludica consentono: l’attivazione della spontaneità quale componente essenziale nello sviluppo dell’empatia e della relazione; una disinibizione del gruppo e una diminuzione della prossemica tra i singoli soggetti che favorisce lo svolgimento delle attività in un clima propositivo e non difensivo.

Durante la fase di contatto il lavoro è focalizzato sull’aiutare il cliente-attore ad acquisire consapevolezza del proprio movimento corporeo e delle emozioni che guidano le sue azioni nel momento presente dell’azione scenica, compiendo un importante training psico-fisico, finalizzato a non scimmiottare gesti o espressioni stereotipate, ma imparare ad esprimersi ed agire nello spazio scenico con piena congruenza tra il verbale e non verbale,  nel rispetto e riconoscimento dei personali bisogni, sentimenti  e meccanismi di difesa.  

Nel lavoro di improvvisazione la ricerca di finzione induce alla verità in quanto, protetti dall’idea che nulla è reale, il cliente-attore durante l’interpretazione di un ruolo in scena sperimenta emozioni proprie.

Sul palco ha luogo una temporanea sospensione delle conseguenze delle proprie azioni, che favorisce in ogni individuo l’emersione e l’accesso ai relativi vissuti, in questo senso, avviene una  presa di contatto, in cui il cliente-attore individua il desiderio o lo scopo implicito del suo vissuto e del suo stare all’interno del gruppo, rispondendo alla domanda “cosa voglio”.

Durante questa fase del laboratorio, viene esplorata la narrazione auto-biografica e si lavora sulla respirazione diaframmatica, il  rilassamento e sulla costituzione del gruppo attraverso esercizi finalizzati all’aumentare la fiducia e l’affidamento tra i partecipanti.

Lo sviluppo della fiducia verso il compagno, il gruppo e se stessi, la possibilità di abbandonarsi e l’assenza di giudizio permettono una crescita del gruppo e l’integrazione degli individui, che riescono ad accogliere le proprie differenze, consapevolizzando allo stesso tempo le proprie uguaglianze.

Il training psico-fisico offre al cliente-attore un momento di sperimentazione, di scoperta di sé e del proprio corpo che guidato verso nuove possibilità di espressione, diviene un mezzo per vivere nuove esperienze e manifestare a sé e agli altri contenuti emotivi profondi.

Il corpo diviene il punto di partenza per entrare in contatto con sé e con l’altro; uno strumento per muoversi, danzare, evocare immagini e scoprire non solo nuove possibilità di movimento, ma migliorare il proprio stato emotivo, cognitivo e fisico.

Per sviluppare il potenziale espressivo del corpo e attuare una riorganizzazione dell’Io favorendo il rapporto a tutto tondo con se stessi, molte attività di espressione corporea vengono rivolte a migliorare la postura e l’appoggio.

L’aumento dell’autostima e del senso di efficacia è spesso strettamente collegato alle conquiste senso-motorie e di coordinazione dei movimenti, che attraverso la condivisione con gli altri, permettono al cliente-attore di trovare  o ritrovare esperienze piacevoli proprie del movimento che, favoriscono l’acquisizione di una migliore postura e la capacità di strutturare un’immagine del Sé che rispecchi un’identità positiva.

A partire da esperienze posturali abituali, il cliente-attore è portato ad ottimizzare l’assetto posturale, al fine di consentire la scarica del peso e la modulazione delle tensioni corporee, per apprendere un nuovo modo di essere al mondo e quindi, appoggiarsi a se stesso in totale auto-accettazione.

Come in ogni percorso che passa attraverso una relazione d’aiuto dove emergono transfert e controtransfert, un lavoro sull’appoggio richiede una padronanza e un’esperienza notevoli da parte del counselor nel costruire un rapporto di fiducia con il cliente-attore, nessun esercizio psicofisiologico può agevolare il soggetto ad auto-appoggiarsi, se prima quest’ultimo non sente di potersi abbandonare metaforicamente e fisicamente all’interno della relazione con l’ Art Theatre Counselor.

Questo lavoro centrato sulla corporeità in alcuni casi ha avuto durante i miei laboratori di teatro, la finalità di scomporre forme rigide di un modello posturale interiorizzato, promuovendo il cambiamento verso differenti situazioni psico-fisiche e ambientali.

Durante la fase di contatto pieno, vengono esplorati con il cliente-attore e l’intero gruppo i dati presenti nel qui ed ora della scena, e il cliente-attore definisce le scelte che immagina di realizzare per soddisfare i suoi bisogni e la realizzazione dell’obiettivo che condivide con il gruppo, rispondendo alla domanda “cosa faccio”.

In questo senso, le attività di teatro assolvono alla funzione “terapeutica” che nasce dal consentire la piena espressione e realizzazione di se stessi, superando pregiudizi e stereotipi, accogliendo dolcemente parti rifiutate della propria storia o di se stessi, che possono essere messe in scena nella finzione e successivamente reinserite nel proprio mondo interno.

Il Metodo Hansen divide il lavoro d’interpretazione in quattro livelli:

1° livello: “ cosa farei se io fossi me stesso in una situazione già vissuta da me.”

2° livello: “cosa farei se io fossi me stesso in una situazione che non ho mai vissuto.”

3° livello: “cosa farei se io fossi il personaggio (con le sue caratteristiche) in una situazione che già conosco.”

4° livello: “cosa farei se io fossi il personaggio in una situazione mai vissuta da me (e descritta dall’autore).”

L’utilizzo del pensiero, che sostiene il livello di interpretazione a cui ricorre l’attore, offre una chiave per entrare nell’immedesimazione di un personaggio e comprenderne le infinite possibilità espressive, ma per poterle espletare al meglio e sentirsi dentro il ruolo bisogna imparare a viverlo nel presente e a stare in contatto pieno con se stessi.

Nella fase di post-contatto, si prevede che il cliente-attore elabori il suo vissuto in prossimità della fine dell’esperienza teatrale e si prepari a separarsi dal gruppo, rispondendo alla domanda “cosa sento dopo aver realizzato il mio piano d’azione e in prossimità della separazione dal gruppo con cui ho condiviso l’esperienza”.

Il Metodo Hansen prevede che a chiusura di ogni incontro di teatro, venga effettuato un feedback di gruppo che permetta all’attore di rielaborare il vissuto personale emerso durante l’esperienza assieme al gruppo, in funzione di un miglioramento del lavoro teatrale e della crescita personale dell’attore.

 Prendendo spunto dall’approccio non direttivo del counseling rogersiano, l’Art Theatre Counselor è centrato  sul cliente-attore, e lo aiuta ad esplorare se stesso e individuare le risorse che ha già dentro di sé per giungere alla soluzione dei suoi problemi, senza valutare, indagare, sostenere, soluzionare, interpretare; ma solo ascoltando attivamente il suo interlocutore e chiarendo ciò che il cliente-attore riporta del suo vissuto legato all’esperienza teatrale, utilizzando la riformulazione.

L’Art Theatre Counselor fa da specchio al cliente promuovendo la conoscenza di sé di quest’ultimo, in quanto come counselor, può ampliare e arricchire la riformulazione di significati sottintesi alla comunicazione verbale del cliente-attore, ma espliciti ad esempio nella comunicazione non verbale.

            In altre parole il cliente-attore nella sua esposizione potrebbe non essere consapevole di un sentimento, che invece trapela da segregati vocali (grugniti, pause, balbettii, suoni, omissioni), caratterizzatori vocali (riso, sospiri, pianto, sorrisi, sbadigli, gemito), qualificatori vocali (tono, intensità, timbro ed estensione) o viene trasmesso in modo esplicito con la postura, la gestualità, le attitudini comportamentali.

Per riformulare il concetto del cliente-attore arricchendolo di elementi che emergono dal comportamento non verbale e para-verbale del cliente-attore, nel qui e ora del feedback o dell’improvvisazione scenica, è necessario che l’Art Theatre Counselor sia in grado di svolge un’attenta osservazione fenomenologica del vissuto di quest’ultimo.

Ogni dettaglio apparentemente insignificante del volto, il colorito della pelle, il respiro, le contrazioni muscolari, così come l’utilizzo delle parole, frasi o costrutti ricorrenti, uno stile di comunicazione astratto o concreto, forniscono indizi importanti su cosa il cliente-attore vive.

Con questa modalità d'intervento a fine di ogni lezione di un laboratorio di teatro  si attua un doppio feedback comunicativo, da un lato si comunica al cliente-attore un feedback che l’Art Theatre Counselor è empaticamente attento a ciò che l’attore agisce in scena; dall'altro lato, la riformulazione fornisce all’Art Theatre Counselor un feedback circa l'accuratezza della sua comprensione e della funzionalità del lavoro che sta svolgendo con gli attori in relazione sia alla buona riuscita dello spettacolo, sia  al benessere del singolo individuo appartenente al gruppo e al gruppo nella sua totalità.

La tecnica della riformulazione consente al cliente-attore un chiarimento progressivo del contenuto e del significato della sua performance e del suo vissuto emotivo, e solo attraverso tale comprensione può auto-direzionare e auto-regolare il proprio modo di percepirsi e stare in scena e “al mondo”, aumentando le proprie capacità di adattamento, benessere e di autonomia.

L’utilizzo di tecniche di Counseling, all’interno del lavoro teatrale, agevola un attore ad entrare in contatto con la propria percezione di sé e a mettere a fuoco le criticità, i rischi e le opportunità dei momenti che vive sulla scena. L’Attore attraverso tale processo, si appropria della verità personale che sottostà ai comportamenti che egli agisce nella finzione scenica.

L’utilizzo della tecnica teatrale, all’interno di un percorso di Counseling individuale o di gruppo, offre numerosi strumenti al cliente per entrare in contatto, attraverso un’esperienza corporea, con parti di sé difficilmente contattabili da un punto di vista esclusivamente cognitivo.

Il contesto protetto del palco, ha permesso alla maggior parte delle persone che hanno partecipato ai miei corsi  di teatro, in cui faccio ricorso al Metodo Hansen, di acquisire una maggior conoscenza di sé e sviluppare maggiori capacità relazionali, aumentando la propria sicurezza e autostima.

La singola persona sentendosi incoraggiata ad esprimere il proprio mondo interno, e stimolata ad essere in comunicazione in modo adeguato col mondo esterno, ha visto riconosciuta la propria prestazione in base allo sforzo impiegato nell’esecuzione; quindi l’attività teatrale è risultata ristrutturante rispetto alla sua autostima e ha portato all’acquisizione di progressive autonomie e responsabilità nel portare a termine un risultato personale e di gruppo.

Durante il lavoro da me svolto come conduttrice di laboratori di teatro, unire il Teatro al Counseling mi ha permesso, in modo graduale utilizzando la finzione scenica, di aiutare alcuni partecipanti a riconoscere le proprie reazioni disfunzionali nei confronti di situazioni in cui hanno sperimentato se stessi e, attraverso l’improvvisazione guidata, sperimentare nuove e diverse risposte adattive, riuscendo ad apprendere attraverso il Metodo Hansen, nuove reazioni cognitive e comportamentali utili ad affrontare le situazioni difficili che dovevano gestire nella realtà.

 “Fare teatro, ci offre la possibilità di giocare con tutti i ruoli che vogliamo – quelli già vissuti e quelli da “sperimentare” – fino a trovare paradossalmente la totalità psico-fisica rifiutando le così dette “maschere” a favore della verità. Il gioco dei ruoli aiuta paradossalmente a trovare quello più vicino alla nostra personalità e questo aiuta a vivere da protagonisti con la completa consapevolezza di “esserci” per se stessi e gli altri. Quindi compito dell’Art Theatre Counselor è quello di guidare il cliente-attore nella ricerca del suo vero sé e poi di aiutarlo a trovare il coraggio di viversi quel sé[3].

Per essere un bravo Art Theatre Counselor, come direbbe la Hansen, è necessario non sottovalutare l’importanza di possedere una duplice competenza, sia  artistica legata al mestiere dell’attore, che psicologica legata al Counseling, solo in questo modo sarà facile individuare subito la sinergia funzionale al benessere dell’individuo, che viene prodotta dall’integrazione del Teatro con il Counseling, e viceversa.

 

[1] Moreno J.L., “Psicodramma e vita”, Rizzoli, Milano 1973,  p.57.

[2] ORIOLI W., “Teatro come terapia”, Macroedizioni, Cesena2001, p.72.

[3] Hansen M. R., “L’arte dell’attore”, Edup, Roma 2003,p. 65.

 

 

Antonella Salvatore, counselor e docente CIPA