Storytelling

Storytelling: Cenni di neuroscienze e PNL

(di V. Zeffiro allieva CIPA III anno)

 

“That's what we storytellers do.

We restore order with imagination.

We instill hope again and again and again.”

(Walt Disney)

 

Introduzione

Sia le storie che le metafore sono due elementi molto presenti nella nostra quotidianità anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Gli esseri umani raccontano storie da sempre e queste storie solitamente hanno un significato o una morale di fondo.

Quante volte ci è capitato di stare in attesa alla posta, in fila alla cassa del supermercato o in pausa a lavoro e di ascoltare vicende raccontate dalle persone?

Tutti comunichiamo mediante racconti, non ci limitiamo a dichiarare semplicemente dei fatti, ma li leghiamo tramite una narrazione che include personaggi che svolgono delle azioni, in una determinata sequenza e in un determinato tempo. Più questi racconti sono ricchi di dettagli più attirano l’attenzione, in quanto le immagini che l’ascoltatore crea nella propria mente sono più accurate. Conoscere questo può essere di aiuto sia nel prestare maggiore attenzione alle storie che gli altri raccontano, sia nel diventare più consapevoli del fatto che le narrazioni che ascoltiamo hanno il potere di attirarci nella loro realtà, in alcune circostanze occorre evitare attivamente che questo accada.

La narrazione ha una grande flessibilità in termini di personaggi e trame, per tale motivo attraverso di essa, è possibile affrontare molte situazioni diverse, includendo l'umanità degli individui, i loro sentimenti, i loro vissuti e ogni sorta di spunti contestuali (Nigam, 2012).

Cenni di neuroscienze

Negli ultimi anni anche la comunità scientifica ha iniziato a mostrare interesse per lo storytelling, in quanto le storie sembrano essere uno dei modi più efficaci per comunicare.

Il cervello umano, a differenza di tutti gli altri essere viventi, ha la capacità di sviluppare significato e implicazione dalle storie. Inoltre, uno dei grandi vantaggi evolutivi dell’essere umano è che non abbiamo bisogno di vivere realmente un evento per ottenere la prospettiva dell'esperienza di qualcun altro. Il cervello umano ha dei meccanismi neurologici ben sviluppati che si sono evoluti per aiutarci a memorizzare, richiamare e interpretare situazioni e storie. Tali meccanismi hanno luogo specialmente negli ippocampi (destro e sinistro) e nelle amigdale (destra e sinistra):

  • Gli ippocampi: hanno la capacità di memorizzare e richiamare la memoria episodica. Lo fanno registrando e richiamando schemi o frammenti di storie che sono in gran parte immagazzinati nei lobi temporali vicini. In particolare:
  • L’ippocampo sinistro immagazzina e ricorda elementi narrativi più piccoli e meno astratti. È la narrativa che riguarda il piano funzionale e fisico piuttosto che il piano metafisico. In altre parole, è maggiormente focalizzato su ciò che sta accadendo in questo momento, ovvero il ristretto contesto della storia.
  • L’ippocampo destro immagazzina ed elabora la metanarrativa in cui ogni storia deve svolgersi. In altre parole, il significato della storia su una scala più grande. Inoltre memorizza e richiama le nozioni di tempo, luogo e ambientazione, quindi il contesto della storia.
  • Le amigdale: moderano il senso di appartenenza alla narrazione, ovvero se siamo coinvolti o meno nella storia, in quanto gestiscono i processi chiave delle emozioni. In particolare:
  • L’amigdala sinistra ci dice se la storia ha qualche effetto diretto su di noi come individui.
  • L’amigdala destra ci ricorda che siamo in realtà in un contesto confortevole e sicuro (Le Hunte & Golembiewski, 2014).

Sono molte le domande ancora aperte sui meccanismi specifici che le storie attivano nella nostra mente. Tuttavia alcuni autori ritengono che le tecniche di imaging cerebrale (es. Risonanza magnetica, PET) possano contribuire nel trovare alcune delle risposte (Nigam, 2012).

Dei ricercatori hanno studiato, tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI), l’attività cerebrale di un oratore che raccontava una situazione di vita reale e quella di un ascoltatore che ascoltava una registrazione della storia. I risultati hanno mostrato che durante una comunicazione efficace, i cervelli di chi parla e di chi ascolta avevano schemi di risposta congiunti, accoppiati da un punto di vista spazio-temporale. Tale accoppiamento neurale diminuisce sostanzialmente in assenza di comunicazione. Inoltre più questi accoppiamenti neurali sono estesi, tra chi parla e chi ascolta, maggiore sarà l’efficacia della comunicazione e di conseguenza la comprensione del racconto (Stephens, Silbert, & Hasson, 2010).

In un altro studio sono stati utilizzati la fMRI, la PET, il contrasto e le analisi di connettività di rete funzionale su 18 persone sane che hanno raccontato e ascoltato storie di fantasia durante le procedure di imaging. I risultati hanno mostrato che oltre alle aree linguistiche tradizionalmente conosciute (es. Area di Broca = lobo frontale sinistro inferiore e posteriore, area di Wernicke = zona posteriore del lobo temporale sinistro) sia la produzione narrativa che la comprensione hanno coinvolto regioni associate alla costruzione di modelli mentali e situazionali e aree premotorie neocorticali. Quindi quando la produzione e la comprensione del linguaggio vengono impiegate in un contesto ecologicamente valido mostrano schemi di attivazione e connettività funzionale sovrapposti e idiosincratici (AbdulSabur et al., 2014).

Altri autori invece hanno scelto di manipolare le opinioni di due gruppi di persone portandoli così ad interpretare la stessa narrazione in due modi diversi. Tramite la fMRI hanno dimostrato che le risposte nelle aree cerebrali di ordine superiore, tra cui la rete di mentalizzazione, le aree linguistiche e i sottosistemi dei neuroni specchio, tendevano a essere simili tra le persone che condividevano la stessa interpretazione. Inoltre, la differenza nelle risposte neurali tra i due gruppi in ogni momento era correlata all'entità della differenza nell'interpretazione della narrativa (Yeshurun et al., 2017).

Altri autori si sono addentrati nello studio dei cervelli di persone che ascolano la stessa narrazione in lingue diverse. Analizzando questo hanno dimostrato che le risposte neurali delle persone che ascoltavano una storia in russo e delle persone che ascoltavano la stessa storia tradotta in inglese, erano simili. La storia evocava perciò risposte cerebrali simili, non influenzate dai cambiamenti strutturali delle lingue, che iniziavano appena al di fuori delle prime aree uditive e si estendevano attraverso cortecce cerebrali temporali, parietali e frontali. Quindi sembra che il cervello umano elabori le informazioni della vita reale in un modo che è ampiamente insensibile alla lingua in cui tali informazioni vengono trasmesse (Honey, Thompson, Lerner, & Hasson, 2012).

Oltre le storie, anche le analogie e le metafore, processi correlati alla creatività, sembrano essere in grado di attivare diverse regioni del cervello coerenti con la propria funzione e comunque distinguibili tramite la fMRI. Nella misura in cui la creatività ha fonti eterogenee, la sua sollecitazione neurale varierà in funzione dei processi cognitivi sottostanti (Vartanian, 2012).

Come mostrano gli studi sopra riportati, sono molti gli aspetti che possono essere studiati riguardo l’effetto che le narrazioni hanno sul nostro sistema nervoso. Ancora tuttavia occorre che vengano chiariti diversi aspetti, comunque le neuroscienze in questi ultimi anni stanno compiendo passi importanti.

 

Storie e metafore in PNL

In PNL le storie e le metafore sono strumenti che possono aiutare a:

  • Creare stati,
  • Persuadere attraverso l’insegnamento,
  • Associarsi ad una storia e ai suoi personaggi e quindi a ragionare in modo diverso.

Prima di procedere sono necessarie due premesse. Verrà utilizzato in questo testo il termine “stato”. Secondo la PNL lo stato è l’attuale condizione fisica e mentale in cui si trova una persona ed è influenzato sia dalle rappresentazioni interne (le immagini e i suoni che creiamo nella mente e il modo in cui li creiamo), sia dalla fisiologia (respiro, postura, tensione muscolare, biochimica). Un’ulteriore premessa necessaria è che in una narrazione effettuata a scopo di aiuto, il professionista entri (prima lui) nello stato che vuole che il cliente abbia. Quindi ad esempio se voglio che un cliente agitato diventi calmo e rilassato, prima di iniziare la narrazione mi devo porre io in uno stato di calma e rilassamento.

Le storie

In generale è possibile affermare che agli esseri umani piacciono le storie, per questo siamo in grado di identificarci con esse. Quando raccontiamo una storia ad un cliente, non necessariamente occorre essere fedeli al problema che il cliente porta, l’importante è che contenga memorie comuni e che non venga spiegata. L’ascoltatore darà poi il significato che preferisce. In questo senso, grande potere lo hanno le frasi lasciate in sospeso, in quanto attirano l’attenzione di chi le ascolta e spingono inevitabilmente a dare una propria interpretazione.

Per cominciare, consideriamo il caso in cui si voglia utilizzare una storia col fine di promuovere un cambiamento di stato nel cliente, posto che quest’ultimo si trovi in uno stato particolarmente negativo.

In questa situazione si comincia con un racconto di una persona in uno stato che l’ascoltatore identificherà come proprio e poi il personaggio procede verso la transizione allo stato desiderato. Non è necessario che la storia sia lunga, ma è sufficiente che si effettui il ricalco dello stato iniziale del cliente e che sia chiaro il cambiamento di stato del protagonista. Il processo di transizione che il protagonista della storia vive non deve essere necessariamente connesso, da un punto di vista logico, allo stato iniziale e a quello finale del personaggio, ma l’importante è la sequenza temporale con cui viene raccontato.

Esempio: ci fu il big bang, nacqui io, furono creati i social network e l’Inghilterra decise di uscire dalla comunità europea.

Non c’è una connessione logica tra questi eventi sopra descritti, soltanto una sequenza temporale che però il nostro modello mentale trasformerà in una sequenza causale. In altre parole, la nostra mente crea una sequenza causale ovunque ci sia una sequenza temporale.

Nel caso in cui invece si voglia raccontare una storia ai fini di un insegnamento, questa volta la storia non può essere scelta a caso (come nella situazione precedente), ma viene scelta per raggiungere l’obiettivo specifico desiderato. Alcuni trainer di PNL consigliano di prepararsi 4-5 storie con diversi insegnamenti di fondo, da usare all’occorrenza adattandole al contesto attuale, in quanto non è semplice inventare una storia con una morale su due piedi.

Le metafore

Secondo la PNL, trattare le metafore come se fossero descrizioni letterali di un’esperienza interna è di molto più produttivo che spingere le persone ad abbandonare le proprie metafore. In realtà si pensa che tutto il linguaggio che utilizziamo sia metaforico, ovvero che una parola non sia la “cosa” che rappresenta.

Un professionista che racconta una storia e inserisce in questa delle metafore in automatico arricchisce l’esperienza originale dell’ascoltatore.

Quando non si ha idea da che parte iniziare per elaborare delle metafore, si può far riferimento alla natura, tutte le metafore connesse alla natura vengono definite “metafore universali”, perché nella natura si può trovare spunto per metafore che riflettano diversi concetti come quello delle differenze, dei cambiamenti, dei segreti, delle regole, della semplicità ecc.

Il viaggio dell’eroe

Nel 1949, Joseph Campbell pubblico la prima edizione del suo libro “The hero with a thousand faces” (l’eroe dai mille volti), poi tradotto in italiano nel 1958. La PNL prende questo libro come punto di riferimento per diversi motivi che proseguendo con la lettura saranno comprensibili.

Campbell ha identificato nel “viaggio dell’eroe” (che ovviamente è una metafora), lo schema del percorso evolutivo in cui si struttura l’esperienza umana. Quindi nel caso in cui si decida di utilizzare questo come schema di riferimento per raccontare una storia, occorre sapere che c’è un percorso evolutivo ben preciso da tenere a mente. Sono stati sviluppati, nel corso degli anni, diverse variazioni dello schema proposto da Campbell sul viaggio dell’eroe. Di seguito riporterò le fasi che necessariamente un eroe attraversa durante il suo viaggio:

  1. Area di confort: nella fase iniziale della storia il protagonista si trova a suo agio in una situazione sicura
  2. Chiamata: succede qualcosa per cui il protagonista si accorge che, per risolvere il problema, è costretto ad uscire dalla sua area di confort, ma ancora non lo fa.
  3. Soglia: il protagonista vuole rimanere nella sua area di confort, quindi non vuole varcare la soglia per uscire, rifiuta la chiamata.
  4. Aiuto: il protagonista una volta uscito dalla sua era di confort cerca aiuto per la risoluzione del problema, di solito trova un mentore.
  5. Ostacolo: il protagonista che si è attivato per risolvere il problema incontra un ostacolo nel suo percorso.
  6. Conflitto: a causa dell’ostacolo il protagonista vive un conflitto interiore, prima che riesca a risolvere il problema.
  7. Tesoro: il protagonista riceve una ricompensa per la fatica del viaggio affrontato.
  8. Liberazione: il protagonista torna da dove è partito.

 

Quello descritto è un processo spesso rappresentato come ciclico.

Se ci riflettiamo bene in diverse situazioni della nostra vita compiamo il nostro viaggio dell’eroe e può capitare di compiere più viaggi di questo tipo addirittura in una stessa giornata!

 


 

Bibliografia

AbdulSabur, N. Y., Xu, Y., Liu, S., Chow, H. M., Baxter, M., Carson, J., & Braun, A. R. (2014). Neural correlates and network connectivity underlying narrative production and comprehension: a combined fMRI and PET study. Cortex, 57, 107-127. doi: 10.1016/j.cortex.2014.01.017

Campbell, J., & Piazza, F. (1958). L'eroe dai mille volti: Feltrinelli.

Honey, C. J., Thompson, C. R., Lerner, Y., & Hasson, U. (2012). Not lost in translation: neural responses shared across languages. J Neurosci, 32(44), 15277-15283. doi: 10.1523/jneurosci.1800-12.2012

Le Hunte, B., & Golembiewski, J. A. (2014). Stories have the power to save us: A neurological framework for the imperative to tell stories. Arts and Social Sciences Journal, 5(2), 73-77.

Nigam, S. K. (2012). The storytelling brain. Science and engineering ethics, 18(3), 567-571.

Stephens, G. J., Silbert, L. J., & Hasson, U. (2010). Speaker-listener neural coupling underlies successful communication. Proc Natl Acad Sci U S A, 107(32), 14425-14430. doi: 10.1073/pnas.1008662107

Vartanian, O. (2012). Dissociable neural systems for analogy and metaphor: implications for the neuroscience of creativity. British journal of psychology, 103(3), 302-316.

Yeshurun, Y., Swanson, S., Simony, E., Chen, J., Lazaridi, C., Honey, C. J., & Hasson, U. (2017). Same Story, Different Story. Psychol Sci, 28(3), 307-319. doi: 10.1177/0956797616682029