L’immagine allo specchio nel counseling gestaltico

Il corpo fisico ed il suo riflesso

(di G. Proietti) 

Funzione dello specchio

L’uso dello specchio e dell’immagine riflessa costituisce da anni nel counseling un supporto utilissimo nei percorsi di sostegno; può essere utilizzato fin dall’inizio della seduta o scegliere di usarlo nel momento in cui si valuta maturo per il cliente un confronto più incisivo con il suo sé.

Lo specchio rende la figura speculare, senza sconti, amplifica ciò che noi immaginiamo rappresentare con un effetto dirompente se l’immagine speculare è difforme dall’immagine interiore. In modo fenomenologico si guarda l’immagine, e pur consapevoli che non siamo noi, sentiamo che è pur sempre qualcosa che ci appartiene, anzi che forse è la parte più vera di noi che ci guarda, ci osserva e ci critica. Uno specchio pone domande e offre risposte, è la più semplice e al contempo la più complessa macchina della verità, facilmente pronta all’uso, capace di portarci da una parte all’altra delle nostre polarità. Il corpo parla con la sua immagine e nel momento che cade sotto la nostra osservazione qualcosa del corpo muta sia nell’aspetto esteriore sia come vissuto personale, al contempo qualcosa si trasforma dentro noi al punto che ci si ritrovi nel percorso di un viaggio infinito.

Non esiste una performance definitiva fisica e psicologica che sia, non può esserci perché nel momento che l’occhio scruta lo specchio con la propria immagine riflessa si realizza un inseguimento perpetuo: corpo e specchio, specchio e corpo. Un viaggio verso una verità momentanea mentre l’occhio indaga le zone oscure del  viso adottando censure o compiacenze senza riscontro di realtà; un viaggio ripieno d’emozioni, di disagi, di giudizi, di compassione, di brividi e spavento. Lo specchio favorisce attraverso l’immagine riflessa la materializzazione del non ancora visto cioè la percezione di come nella realtà ci rappresentiamo rispetto al mondo esterno, facendo contrastare ancor più come si vorrebbe essere o come si vorrebbe essere considerati. In genere la costruzione dell’immagine che presentiamo non corrisponde alla complessità della nostra immagine interiore.

La tecnica dello “Specchio” può considerarsi uno sviluppo dello psicodramma moreniano laddove al posto dell’inversione dei ruoli si sostituisce lo sdoppiamento tra la persona che lavora e la sua immagine riflessa nello specchio. Nel sistema classico A diventa B mentre B diventa A; con lo specchio, c’è sdoppiamento, A sta da una parte mentre B sta fisicamente dall’altra ed è l’interazione intrapsichica a mettere in relazione le due parti che si guardano in contemporanea attraverso lo specchio.

Appunti per un lavoro gestaltico

Vedersi allo specchio è un’esperienza trasformativa in cui si può scoprire qualcosa di noi che non sospettavamo, non tanto una ruga in più o dei capelli bianchi, ma qualcosa che sedimentava nello sfondo  e che allo specchio affiora attraverso una contrazione delle labbra, un’espressione degli occhi o delle mani serrate. Come rispondere a questi segnali?

La riflessione sull’immagine riflessa ci riporta al mito della caverna di Platone in cui l’uomo all’interno riceve solo i bagliori della realtà posta all’esterno della caverna stessa. Il limite conoscitivo risiede nell’impossibilità d’avere delle immagini visivamente dirette, ma solo quelle deformate dalla proiezione di un mondo esterno lontano quanto misterioso.

Lo specchio lavora nello stesso modo ridando al soggetto  solo un’immagine riflessa su cui a sua volta è possibile proiettare parti anche a noi sconosciute. In questo senso si presta a innumerevoli giochi interpretativi:

Nello specchio vediamo un corpo rivestito di pelle, potremmo non gradirlo, ma sappiamo che resta impossibile cambiarlo; talvolta lo diciamo in senso metaforico, ma pur sapendo che quest’organo sia possibile modificarlo per adattarlo a quello che sembra un bisogno, sentiamo dentro quanto la sua ineluttabile esistenza sia segnata dalla caducità. Il lavoro consiste nell’accompagnare la persona nella scoperta dell’immagine speculare che in modo arbitrario la rappresenta pur se corrisponde a una figura virtuale condizionata dalle capacità riflettenti dello specchio, dall’inclinazione della luce e dalla sua intensità. L’osservazione gestaltica parte dall’analisi fenomenologica per trascendere al vissuto emotivo che accompagna l’osservazione speculare della propria immagine.

Una premessa che può farsi alla persona che pone lo sguardo verso la sua immagine allo specchio  consiste nella domanda

                                           Chi c’è allo specchio?

Si tratta di quesito esistenziale di straordinario potere  che chiede se l’immagine riflessa corrisponde a quella interiorizzata e se e come differisce dall’aspettativa.

Un aspetto che emerge dall’osservazione è che non esista un “corpo naturale” come lo si potrebbe immaginare, in quanto nella realtà “quello dato” non è incontaminato dalle interferenze culturali e sociali, ma ne risulta  continuamente plasmato.  Nella visione speculare il rimando gestaltico non è tanto centrato sul corpo quale appare (Una ruga, una macchia, una cicatrice, ecc.), ma sui valori dell’esperienza relazionale che ne deriva.

Alla persona davanti allo specchio si può porre un’altra domanda:

                      Che ne hai fatto o che ne fai del tuo corpo?

La questione non è nella libertà di modificare il proprio corpo, ma quale ne sia il presupposto ideologico evidenziando se l’eventuale condizionamento sia stato inesistente o poco/tanto attivo. Facendo emergere dallo sfondo come ognuno dovrebbe essere e apparire nella sua realtà quotidiana e non in ansia per come appare nello specchio mortificandosi per la propria forma affliggendosi per il dimorfismo dalle indicazioni culturali e sociali.

La domanda:

                                     Chi ha scelto o chi sceglie per te?

diventa l’occasione per una narrazione di sé da parte del cliente teso a ricercare quanto la continua costruzione del suo corpo e della sua corporeità   siano dipesi dagli agenti esterni (culturali come il genere, la classe sociale o la razza, oppure la moda, la pubblicità, l’imitazione di modelli creati artificialmente), tutti formidabili plasmatori delle modificazioni corporee.

Un’altra domanda occasione di molteplici aperture potrebbe essere:

                           Che ti dicono le tracce del tuo corpo?

come per introdurre il tema del cambiamento o per confermare un percorso di alienazione. Nel primo caso, un processo teso a restituire valore al corpo in quanto tale, una riappropriazione che richiede una valorizzazione del corpo autentico inteso come libera espressione d’esistere. Nel secondo caso, una implicita accettazione della schiavitù subita approvando gli abusi che sul suo corpo vengono perpetuati.  

Lavori proponibili

I seguenti lavori costituiscono degli esempi di come si possa inserire la pratica dell’immagine speculare nell’esperienza di counseling.

1° Racconta la storia del tuo viso

È il primo lavoro che introduce allo scandaglio storico ed emotivo della persona.

  • Cosa hanno visto i tuoi occhi?
  • Cosa ha detto la tua bocca?
  • Cosa hanno ascoltato le tue orecchie?
  • Ecc.

 2°  Mimare la famiglia

 Carta e matita.

Ciascuno traccia sul foglio i nomi delle persone (4/5) più significative della propria vita con poche parole di commento (fase induttiva), in ordine gerarchico.

A turno, ciascuno mima allo specchio i personaggi rievocati.

Commento finale nel gruppo (impressioni, vissuti, scambi).

Che cosa ci portiamo dentro, delle persone che per noi sono o sono state importanti? Cosa riesce a dire il corpo allo specchio che le ricorda? Cosa vorremmo dire a loro allo specchio?

 3°  Quando ero bambina/o

Carta,  matita e forbici.

Un tempo per disegnare 4/5 oggetti che hanno accompagnato l’infanzia; si ritagliano (15 min.)

Davanti allo specchio si mostrano gli oggetti, uno ad uno, e se ne racconta la storia.

Il terapeuta guida.

4° Lavoro

Si pone accanto alla persona che lavora una cesta piena di vari oggetti come: una sciarpa, un cappello, un paio d’occhiali, un maglione, un portafoglio, una lettera, ecc.

La persona ad un certo punto del suo lavoro viene invitata a scegliere uno degli oggetti e a indossarlo vedendolo poi allo specchio.

Inizia un lavoro che può permettere il raccordo con momenti già vissuti ed interiorizzati con varie emozioni. L’analisi analogica può aprire spazi emozionali utili ai vissuti contemporanei del cliente.

5°  Lo specchio con le foto

Carta e matita.

Si portano tre foto significative relative a tre momenti importanti della propria vita

Vengono scritti gli eventi delle 3 foto.

Guardando fisso lo specchio, occhi negli occhi, si drammatizzano le immagini. Cosa manca a quelle foto? Cosa si potrebbe aggiungere?

 

Gianfranco Proietti, Medico, Psicoterapeuta della Gestalt e Counsellor