Counseling e Amore nella vita quotidiana

La scelta di diventare Counselor

(di M. Pilia)

Come molti counselor mi trovo spesso a fare un percorso con clienti che sono innamorati o hanno problemi a relazionarsi con una persona a livello sentimentale. Entrano in studio con la speranza che qualcuno possa cambiare il loro modo di sentire e provare emozioni nei confronti di un’altra persona, l’oggetto del loro amore, o la loro devozione per essi. Oppure, sono del tutto a terra per essere stati lasciati o per non essere stati in grado di risolvere un conflitto con il partner. Il dolore che provano è immenso, la loro solitudine non può essere colmata da niente e nessuno.  È  uno stato dell’essere riferito come  vuoto o buio assoluto, l’ affacciarsi all’abisso, l’essere in caduta libera, il sentirsi sgomenti, frammentati.

Il fatto che i problemi  legati all’amore siano una  realtà che  colpisce noi tutti, porta il cliente, forse per la prima volta, a pensare che il proprio coinvolgimento  sia inadeguato al mondo che lo circonda . A volte  proprio questi  sentimenti si trasformano in paura, creano sconforto e rallentano tutte le funzioni che l’individuo svolge in altri campi della propria vita. Questo sbilanciamento a volte porta il soggetto a  non riconoscersi  più. In altre parole  la proiezione di quella parte di se sull’oggetto del proprio amore non si attualizza nel gesto, nella funzionalità, nei sogni e nei piani  futuri che si immaginava di poter  vivere con  il partner. Di conseguenza ci si trova in una dimensione di conflitto con il proprio essere.

Inoltre, l’opinione che si ha della “Talking Therapy”  e la poca conoscenza del counseling, aggiungono una diffidenza, seppure inconscia , nell’avvicinarsi ad un percorso terapeutico. Consapevole  di non essere un caso psichiatrico o da psicologo, il cliente confida nel “mal comune mezzo gaudio” e  seguendo la ricetta della nonna secondo  cui “il tempo guarisce tutto”, a malincuore si rimette in piedi e va avanti per la propria strada. Pensa che si tratti di un problema che prima o poi colpisce tutti e ignora che il counselling possa essere un percorso rivolto a gente “normale” con “preoccupazioni normali” e quindi adatto al supporto per problemi sentimentali e  relazionali di coppia.

Quando il nostro subconscio si ribella: ci fa fare cose che non vogliamo, ci concentriamo  sul negativo, non apprezzando più il presente e tutto si annebbia. Il  passato come il  futuro diventano buchi neri.  Ci aggrappiamo a qualcosa piuttosto che lasciarla andare, assumiamo comportamenti di dipendenza nei confronti di cibo, tabacco, alcool,etc … oppure acquistiamo impulsivamente  prodotti che non ci servono nella speranza che tutto passi senza troppi intoppi.  E anche se pensiamo di avere tutto sotto controllo  ci viene il mal di schiena di stagione, l’indigestione,  un’impennata di psoriasi o nei casi più difficili scoppiamo a piangere senza alcun motivo proprio quando ci è richiesta la massima attenzione in una situazione pubblica.

In Gran Bretagna nel corso di un assessment e di 15 sedute da 50 minuti l’associazione ONLUS MIND, realtà con la quale collaboro da qualche tempo, affronta spesso l’argomento “amore” e le dinamiche intorno alla sua associazione/dissociazione con le varie  parti del cliente. Nei paesi anglosassoni dove il counseling è più diffuso, sono molte le persone che optano per questa soluzione quando hanno problemi sentimentali. Anche se l’associazione ONLUS MIND si interessa principalmente di persone che soffrono di depressione medio – alta, i motivi che portano le persone ad iniziare un percorso di counseling sono i più svariati.

Durante il percorso spesso viene  fuori che il problema d'analisi ha un’origine sentimentale. L’amore e le sue sfumature sessuali, la famiglia, gli amici vicini e lontani, presenti e non, sono infatti le tematiche più analizzate e discusse durante le sedute di counselling.  L’esigenza del basso costo , tanto da permettere all’associazione di fornire un servizio semigratuito ,suggerisce un mercato allargato e quindi  alle fasce meno abbienti e più vulnerabili ai problemi nel relazionarsi con il mondo circostante, in primis con il partner o l’ex .

Ricordo che in passato, prima di diventare psicoterapeuta, quando  ero senior  cabin crew  di una nota compagnia aerea di bandiera, era mio compito ottenere  l’OK degli assistenti di volo per la chiusura automatica delle porte e l’ingaggio del dispositivo di salvataggio ad esse connesse.  In un volo diretto a Buenos Aires, la terza porta di destra del MD11, non riportava la chiusura automatica ed  il volo  con circa 350 passeggeri non poteva partire senza questa conferma. Dopo avere tentato di raggiungere telefonicamente quella porta e non avendo ricevuto nessuna conferma da parte dell'assistente di volo addetto ad essa, mi diressi personalmente per controllare cosa stesse succedendo. 

Nel passare davanti al bagno adiacente a quella porta sentii qualcuno piangere. Mi resi subito conto di cosa stava succedendo: in quel bagno c’era l’assistente di volo che stavo cercando. Aprii il bagno con il dispositivo di emergenza e lo vidi seduto lì sulla toilette, disperato. Non sapeva cosa fare, se continuare a lavorare o scendere e tornare a casa. Lo guardai negli occhi e gli dissi “ Se ti dessi 10 minuti, chiudessi io la porta, e poi parlassimo dopo il servizio; te la sentiresti  di continuare?”.  Quasi preso di sorpresa, lui ci pensò un attimo e stordito acconsentì, mentre l’idea di “continuare”, lo disperava nuovamente.

Dopo aver chiuso la porta al posto suo e dato conferma al capitano feci partire il  filmato di sicurezza e tornai da lui in bagno. Il mio collega si era ricomposto ed era quasi pronto ad uscire, ma nel vedermi, scoppiò di nuovo in lacrime. Immerso in esse, singhiozzando, mi disse che non sapeva nemmeno lui il perché stesse piangendo. Dopo qualche istante di riflessione mi raccontò che tempo prima la ragazza lo aveva tradito; così si erano lasciati da circa dieci mesi e da poco lui aveva iniziato una nuova relazione. Gli suggerii di prendere posto e lui mi assecondò ricomponendosi nuovamente. Come promesso, dopo il servizio parlammo. 

Allora, ero solo in grado di essere presente davanti a ciò che per me significava l’essere stati lasciati dalla persona amata. Col senno di poi ed in una visione di counselling avrei, oggi, dedicato più tempo a discutere con lui del suo amore, delle sue similitudini con il mondo che lo circonda in modo tale da consentirgli di riaprire la comunicazione col mondo circostante. 

Durante il servizio il mio collega fu in grado di confrontare l’intensità di quel pianto con una memoria, il ricordo di sua madre, la quale  abbandonò la famiglia perché si innamorò di un altro uomo.  In qualche modo l'esperienza della separazione dalla sua compagna lo aveva aiutato a ricordare la radice emotiva che lo faceva star male, ovvero il dolore sofferto da lui e dal padre per essere stati abbandonati dalla mamma. Sicuramente l'aver  verbalizzato l’evento,  rivivere e comprendere tutte le emozioni che lo accompagnavano, lo hanno sicuramente aiutato a valutare le cose positive e i traguardi raggiunti, liberandosi di un peso.

Dare empaticamente spazio al suo pianto e chiudere la porta al posto suo,  aveva dato  al mio collega la coscienza  che il proprio lavoro aveva la priorità e che doveva continuare il servizio facendo del suo meglio. Riprendere il proprio posto per il decollo gli permise di immergersi in altri pensieri, riportando alla memoria un evento che nemmeno lui ricordava. Nella successiva descrizione di ciò che accadde con la propria madre e alla sua riformulazione dei fatti, ha, da solo, potuto riconoscere che allora pianse alla stessa maniera, con la  stessa intensità di distacco e disperazione;  ma ora si sentiva pronto per iniziare un nuovo percorso con  la nuova compagna.

L’accettazione attiva, attenta e al contempo  curiosa dell’ascoltatore è, in questi termini, uno strumento di facilitazione. Permette infatti di spostare l’attenzione su qualcosa che è possibile, piuttosto che  fissarsi su ciò che per il cliente è impossibile, permette allo stesso di poter finalmente scegliere il proprio percorso.  Si ripopola l’evento delle persone che hanno contribuito all’emozione di allora e che man mano compongono il quadro dei significati della persona nel presente .

Chi ascolta attivamente durante la rievocazione  di un evento, facendo attenzione al linguaggio della persona ,  può prestare attenzione a temi ricorrenti e farsi un quadro della situazione. Nel sottolineare al cliente, riformulandoli, i propri sentimenti a riguardo, belli e brutti, il counselor facilita la sensazione fisica che quell’emozione produce usando la voce ,traducendola in parole,  senza pregiudizio e compassione in un clima di neutra accettazione. La mia presenza attivamente curiosa ed al contempo neutra  ha favorito l’espressione di questi sentimenti. Un intervento empatico ha permesso l’accettazione del dolore come parte del percorso.

La riformulazione di quegli eventi ha portato in superficie la circostanza del cliente  e ne ha permesso l’ analisi. “As if” (“Come se”, Rogers, 1981) quel pianto e quella disperazione fossero un’espressione  dell’autorealizzazione  dell’individuo che aveva bisogno di intraprendere liberamente un nuovo percorso di vita significativo.  L’esplorazione del vissuto ha facilitato nuove connessioni di pensiero e prodotto significati nuovi,  riguardo antiche “strutture” di pensiero proprie dell’individuo che ora è libero di provare nuove sensazioni o tornare a ciò che per sé definisce “normalità”.


Marco Pilia, Counselor, ipnoterapeuta e docente Cipa