La Psicologia e le Professioni della Relazione di Aiuto

Uno sguardo sull'ultimo trentennio italiano

 

Pubblichiamo di seguito un estratto dall'articolo di Rolando Ciofi, psicologo e fondatore del MoPI (movimento psicologi indipendenti) apparso nella rivista Magma n. 2, vol. 15, Maggio-Agosto 2017

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Ricapitoliamo. All'origine c'è l'Welfare. Sanità, previdenza, assistenza sociale e istruzione, universalmente estese alla totalità dei cittadini.

La Sanità diventa il dominus di un gran gruppo di professioni per molti anni definite "professioni sanitarie ausiliarie" che inglobano la dimensione "bio" e parzialmente anche quella "socio", l'istruzione domina la restante fetta. Ancora non è nata la "pianta" delle professioni di aiuto, ma questo descritto è il terreno comune. Gli psicologi non c'erano. Sì esisteva la psicologia sperimentale e la psicoanalisi. La prima totalmente estranea al welfare, la seconda solo incidentalmente lo incrocerà, ma porterà l'attenzione sui processi intrapsichici, in linea con una cultura che nella seconda metà del 900’ muta e centra l'attenzione sulla soggettività.

Nasce la "pianta". La psicologia prima e poi il resto. E nasce malata. Malata perché la psicoanalisi nata in ambito medico e che mai ha risolto il suo conflitto con tale ambito, porta in dote non solo la soggettività da innestare nel welfare, ma anche la sua non risolta collocazione perennemente in bilico tra scienze umane e scienze naturali. Così nella psicologia conviveranno il "curare" e il "prendersi cura" in equilibrio sempre precario. L'attenzione al soggetto, all'ascolto, all'empatia, alla relazione saranno comunque trainanti e origineranno nell'ultimo trentennio continuamente nuove professioni. Sullo stesso terreno del welfare, anche le antiche "professioni sanitarie ausiliarie" e quelle legate all'istruzione, complessivamente meno sensibili al fascino della soggettività, si evolvono e inevitabilmente, complice l'humus culturale di fondo, si apparentano. Per questo è bene differenziare tra "famiglia delle professioni di ambito psicologico" (la pianta) e "professioni di aiuto" che certo la comprendono ma vanno oltre estendendo le loro radici nelle scienze sociali.

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Il Counseling

Il 2 maggio 2000 la S.I.Co. - Società Italiana di Counseling, prima associazione professionale per questa categoria, nata nel 1993, è stata chiamata dal CNEL a far parte della Consulta delle professioni non regolamentate. Si tratta di un fatto assai più rilevante di quanto a prima vista possa apparire, destinato a creare discussioni e prese di posizione all’interno delle professioni regolamentate e in particolare all’interno del mondo degli psicologi.

Per comprenderne appieno la portata sarà utile ricorrere ad un autorevole precedente, forse poco noto al grande pubblico degli operatori in ambito psicologico. Si tratta del Provvedimento n. 7410 / 99 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Questa la storia: In data 4 gennaio 1999 l’allora Ordine Nazionale degli Psicologi segnalava all’Antitrust la presunta ingannevolezza di messaggi pubblicitari inerenti la pedagogia clinica: Osservava l’Ordine che le competenze vantate dai pedagogisti clinici erano in sostanza esclusive degli psicologi e che non esisteva alcun albo professionale di pedagogisti clinici.

Il 16/7/99 l’Autorità garante della concorrenza e del Mercato, con il provvedimento citato, rispondeva che con riguardo a tale disciplina: «l’istruttoria ha messo in evidenza l’esistenza di una professionalità specifica in materia. Risulta infatti che il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ha censito la professione di pedagogista clinico come ‘nuova professione’». 

L’istruttoria ha evidenziato che l’esercizio dell’attività di pedagogista clinico non risultava condizionato al possesso di un titolo ufficiale o comunque pubblico abilitante e che l’adesione (ad associazioni che rappresentino la pedagogia clinica ndr) è volontaria e non obbligatoria per chi intenda svolgere la suddetta attività. Eventuali albi hanno dunque carattere privatistico.

Si tratta di un pronunciamento esemplare poiché stabilisce due principi di grande importanza:

  1. Il CNEL censisce le nuove professioni e il fatto che un’associazione che rappresenta una nuova professione sia chiamata a far parte della Consulta delle professioni non regolamentate significa che tale professione esiste autonomamente rispetto a quelle ordinate.
  2. Per esercitare tale nuova professione non è necessario essere iscritti all’associazione accreditata dal CNEL.

Molti anni dopo, come avremo più oltre modo di vedere, con la legge 4/2013 il Parlamento Italiano ricalcherà tale linea di fondo.

Non vi è contraddizione fra i due principi. Anzi essi, sommati, rappresentano la logica che ispirerà la riforma delle professioni intellettuali nel nostro paese. 

Da una parte si afferma che, affinché una professione esista giuridicamente, lo Stato deve conoscerne le caratteristiche. In questo senso la S.I.Co., per essere accreditata, ha dovuto dimostrare di avere delle procedure di accesso, un codice deontologico, dei criteri codificati per la formazione etc.. Dall’altra parte si ammette il dato ovvio che se una professione non è regolamentata, chiunque la può svolgere. Sarà però interesse delle società che rappresentano tale professione (che possono essere anche più di una) garantire il cittadino utente indirizzandolo verso quei professionisti che, associandosi, si autoimpongono codici di comportamento professionale pubblici e ostensibili.

Già dal 2000 tutto ciò ha cominciato a valere per il counseling che da allora è divenuto in Italia una professione libera e autonoma svincolata da ogni pretesa di riserva degli Ordini professionali costituiti. 

Ciò non è stato mai pacifico e negli anni i processi per abuso di professione intentati dagli psicologi contro i counselor si sono susseguiti. Veniva però, già da allora delineata una "griglia" successivamente rafforzata dalla impalcatura della legge 4/2013.

Per esercitare tale professione non occorreva, come non occorre oggi, essere iscritti ad alcuna associazione. Tuttavia, avendo ottenuto la S.I.Co. l'importante accreditamento del CNEL ed essendosi data questa associazione regole codificate a tutela dell’utenza (esami di ammissione per i soci, codice deontologico, accreditamento di enti per la formazione etc..) molti counselor si iscrissero a tale società mentre altri scelsero la strada di dare vita a Società analoghe mirando ad ottenere lo stesso tipo di accreditamento.

E la psicologia? Se esaminiamo il problema da un’ottica protezionistica (per gli psicologi) dobbiamo concludere che la psicologia subisce un brutto colpo in quanto il confine di questa professione sfuma irrimediabilmente (qualche ambiguità sorge anche sul versante della psicoterapia).

Ma proviamo ad analizzare la cosa da un’ottica differente. Nessuna disciplina è in grado di affermarsi se non dà vita ad una seria rete di sviluppo inter ed intraprofessionale. Perché la psicologia non dovrebbe pilotare professionalità contigue verso la sua orbita? Perché non dovrebbe favorire la nascita di professionalità nuove quali counselor, mediatori familiari, musicoterapisti, animatori di comunità e tanti altri ancora, e porsi nei confronti di queste nuove professioni come fornitrice di competenze psicologiche?

Ecco dunque che si delineava il progetto di una professione tutt’altro che debole o rinunciataria, tutt’altro che sminuita o esautorata. Il riconoscimento ottenuto dalla S.I.Co. non rappresenta allora un brutto colpo per la psicologia bensì l’iniziale affermarsi di una logica che potrebbe portare, come in effetti porterà, importanti e duraturi benefici al versante professionale delle discipline psicologiche. Sul piano del rapporto tra professioni lo psicologo dovrà abituarsi al fatto che egli non potrà rivendicare alcuna esclusiva professionale nel contesto della relazione di aiuto. In sostanza dovrà abbandonare più che privilegi concreti, privilegi fantasticati, poiché è ad ogni professionista noto che in questo settore non vi è mai stata alcuna reale esclusiva. 

Dunque il passaggio sarà quello di dover considerare legittimo il professionista di nome Counselor colui che, fino a poco tempo addietro, veniva visto come “abusivo”. Superato il trauma, gli psicologi scopriranno poi anche i benefici di tale trasformazione. Infatti, in un mercato più libero, non solo si apriranno nuovi spazi per la formazione ma, cosa più importante, sarà possibile costruire un forte mandato sociale per gli psicologi che potranno, se agiranno una intelligente politica culturale, essere visti al vertice di una serie articolata di professionalità diverse. 

Nel 2009 nasce un’altra associazione di categoria professionale: AssoCounseling. Si tratta di un’evoluzione importante poiché il mondo del Counseling (per la prima volta diretto da counselor e non da psicologi) si avvia con questa associazione, che presto diventerà leader nel settore, a costruire le proprie Istituzioni. 

Pochi anni dopo, nel 2013 su impulso di AssoCounseling si costituirà Federcounseling, associazione che riesce a raggruppare, tramite le varie sigle aderenti il 70% dei counselor italiani, circa 8000 professionisti.

 

La legge 4 /2013 sulle professioni non regolamentate

Il 19 dicembre 2012 è stato un giorno importante per il mondo delle professioni nel nostro paese. Viene approvata quel giorno quella che diventerà la legge 4/2013 sulle professioni non regolamentate. Nella sostanza la legge ricalca fedelmente quella impalcatura che già abbiamo analizzato e che aveva preso forma nel 2000 attraverso il lavoro del CNEL e dell’Antitrust.

La legge si riferisce a tutte le professioni che non sono organizzate in Ordini o Collegi professionali. Che vengono definite come attività economiche esercitate mediante il lavoro intellettuale. Un unico obbligo: tutti i professionisti che esercitano una professione non organizzata, sono obbligati, in ogni documento scritto, a far riferimento alla legge 4/2013.

Viene introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento il riferimento alle associazioni professionali: associazioni di natura privatistica, senza vincolo di rappresentanza esclusiva per la professione e su base volontaria. Quindi da una parte si ribadisce che l’esercizio delle professioni non regolamentate è libero e non vincolato, dall’altra si riconosce che più professionisti possano aggregarsi in forme rappresentative. Attraverso questa legge, viene introdotto nel nostro Ordinamento (sia pure a metà perché tutto ciò non riguarda le professioni ordinistiche), il sistema accreditatorio in contrapposizione al sistema autorizzatorio che caratterizza le professioni regolamentate (vedi articolo di Fani L. e Valleri T. in questo volume). 

Con la nascita di Assocounseling prima e di Federcounseling poi e con l'iscrizione nell'elenco MISE dell' AIMEF (Associazione Italiana Mediatori Familiari) avvenuta nel maggio 2013, prende il via una nuova fase, che potremmo definire "istituzionale" dei rapporti tra la psicologia professionale e le nuove professioni non regolamentate appartenenti all'ambito psicologico.

La legge n. 4/2013 può essere considerata una tappa decisiva verso la nascita, anche in Italia, di un moderno sistema duale, dove, in accordo con il modello prefigurato a livello comunitario, le professioni libere e le loro associazioni coesistono con un numero ben definito di professioni che continuano a essere strettamente regolate dalla legge, perché ritenute di particolare interesse pubblico o attinenti a interessi costituzionalmente garantiti. Fino alla emanazione della legge n. 4/2013, lo status di professionista intellettuale era limitato, nel nostro paese, soltanto a questa seconda categoria e comprovato dall'iscrizione a un albo, ordine o collegio. 

La situazione di stallo, che vedeva naufragare ogni disegno di legge di riforma delle professioni, determinata soprattutto dai veti delle rappresentanze degli ordini, si è sbloccata soltanto quando alla Camera, constatata la difficoltà di emanare un provvedimento unico sulle professioni, il 9 giugno 2010 si è deciso di scorporare la riforma in due tronconi, affidando alla Commissione giustizia quella degli ordini e alla Commissione attività produttive quella delle associazioni. 

Dopo il varo della legge il Presidente dell'Ordine Nazionale degli Psicologi dell’epoca, l'amico Luigi Palma, commenta l’evento con un articolo il cui titolo da solo riassume con chiarezza la posizione della dirigenza ordinistica «La legge sulle “professioni” non regolamentate: il nostro 11 settembre.» Titolo davvero infelice. Nessun cittadino, psicologo o meno, che abbia un minimo di sensibilità può consentirsi di paragonare un attacco terroristico che ha causato la morte di migliaia di persone a una legge di uno stato democratico. Quando poi questo cittadino ricopre un ruolo istituzionale (gli Ordini sono ancora, purtroppo, istituzioni) la cosa pare davvero grave.

Ma, polemiche a parte, è su questa linea liberale sancita dalla Legge 4/2013 che nasce, nello stesso anno, il CIPRA - Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d'Aiuto, movimento professionale culturale e politico con una prospettiva pluralista, cosmopolita e non etnocentrica, che mira a sostenere la libera integrazione tra le professioni, la circolazione dei saperi e il loro insegnamento, oltre che la scelta consapevole da parte dei cittadini (...).

Nel mondo della psicologia professionale si apre una nuova era. Piaccia o non piaccia va rafforzandosi dal 2013 l'idea di una "famiglia delle professioni di ambito psicologico" che affianca le tradizionali professioni di psicologo, di psicoterapeuta, di psichiatra. 

Non cessano però le lotte: mentre AssoCounseling in un primo tempo ottiene l’inserimento nell’elenco MISE, il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi (CNOP) ricorre al TAR avverso tale inserimento e, apparentemente il TAR Lazio, con la Sentenza 13020/15, abbraccia pienamente le tesi del CNOP sino a disporre l'immediata cancellazione di AssoCounseling dall'elenco MISE. La questione verrà discussa, nel febbraio del 2018, nell'appello proposto sia dal MISE che da AssoCounseling di fronte al Consiglio di Stato.

Nell'attesa qualche riflessione. A ben leggere la sentenza è sorprendente perché fissa due principi in certo senso "esplosivi". Principi che, se confermati dal Consiglio di Stato, non mancherebbero di trasformare una presunta vittoria del CNOP in uno stato di "guerriglia professionale permanente", non solo nei confronti dei counselor ma del mondo intero.

Principio n. 1: il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.

Ora disagio psichico fuori dal contesto clinico è quello che può provare un lavoratore che perde il posto di lavoro, un amante che litiga con l'amata o una coppia che affronta una separazione, un atleta insoddisfatto del suo rendimento, un qualunque cittadino che si sia rotto una gamba, un insegnante che abbia una momentanea difficoltà a gestire una classe, un credente che sente di perdere la fede, un lavoratore precario che non riesce a programmare il proprio futuro, chiunque sia costretto dalla vita ad affrontare un normale lutto, per non parlare di questi tempi, di un comune cittadino che viva ad esempio nella città di Roma e che sia preoccupato (comprensibilmente) dai continui proclami dell'ISIS... e l'elenco potrebbe continuare all'infinito.

Immaginare di sanitarizzare tutto ciò ed affidarlo all'esclusiva e "riservata" competenza di psicologi e psichiatri è a mio avviso, oltre che inquietante, concettualmente sbagliato e politicamente ottuso, semplicemente non attuabile. E dunque anziché a fare chiarezza nelle competenze professionali il principio introdurrebbe ulteriori confusioni.

 

Principio n. 2: Purché non si faccia riferimento al disagio psichico il counseling può esistere.

Il CNOP ha vinto la prima partita. Ma siamo ben lontani dall'avere fatto una qualche chiarezza. La questione mi ricorda molto da vicino, per esserne stato protagonista, quanto accadde con l'applicazione delle norme transitorie della legge 56/89. Ma, differentemente da allora i rapporti sono oggi istituzionalizzati tanto che, a contenzioso ancora aperto presso il Consiglio di Stato, l'Ordine Nazionale degli psicologi decide, a mio avviso con lungimiranza, di dar vita ad una Consensus Conference (CC) sul Counseling prevedendo la partecipazione di tutte le parti portatrici di interessi. Al di là dei risultati che tale iniziativa, ancora in corso, produrrà, si tratta di un cambio di rotta di grande rilievo. Ormai, quali che siano i pronunciamenti della Magistratura, è chiaro che la questione Counseling, e con essa quella di tutte le professioni di aiuto di ambito psicologico, è questione ufficiale alla quale vanno date risposte ufficiali.

Questi gli obiettivi preliminari dichiarati della CC:

- condividere tra la pluralità degli stakeholder la complessità della problematica del counseling nel contesto delle professionalità direttamente coinvolte;

- identificare i “nodi critici” che caratterizzano l’impostazione teorica, metodologica ed applicativa in tema di counseling;

- costruire un consenso tra gli stakeholder interessati sui temi caratterizzanti la funzione di counseling nelle sue diverse declinazione.

Conclusioni

La psicologia italiana nasce scissa. Psicologia sperimentale da una parte e psicologia applicata dall’altra corrono su binari paralleli senza mai incontrarsi per molti decenni. Tale frattura pare ricomporsi, mai completamente, con la nascita delle prime facoltà di psicologia nel 1972 e, successivamente, con il varo della legge 56/89 di ordinamento della professione di psicologo. 

Tuttavia, è proprio la legge di ordinamento, che porta in dote agli psicologi la riserva sulla psicoterapia, ad aprire nuove e ancor più profonde scissioni. L’impianto corporativo della legge, ma ancor più la miopia nella sua applicazione, portano da subito enormi contenziosi (vedi ad esempio l’applicazione delle norme transitorie) che ben presto si risolvono con la nascita di professioni “altre”. Certo di ambito psicologico ma che si muovono fuori dalle logiche istituzionali.

Ma il disastro più grande arriva solo negli anni recenti. Quando la psicologia sempre più si orienta verso la sanitarizzazione. Ricordiamo il fatto che il dilemma se la psicologia sia professione sanitaria o meno non è un dilemma di natura scientifica. E' di natura politico professionale e origina dalla spartizione della psicoterapia tra medici e psicologi avvenuta negli anni 80' come compromesso tra le due corporazioni (con la benedizione dell'accademia).

Nessun problema naturalmente quando la psicologia rivendica a se stessa il ruolo di professione sanitaria. Io non condivido la scelta ma la trovo legittima. Diverso invece è quando la psicologia pretende di sanitarizzare non solo se stessa bensì l’intero mondo della relazione di aiuto. Sanitarizzare la relazione di aiuto significa costruire il titolo per rivendicare a sé l’esclusiva sul campo. La società non può accettare una siffatta mostruosità. Così la psicologia trasloca. Lascia gli psicologi al loro destino e si delocalizza. 

La psicoanalisi, dall'alto della sua tradizione, ha abbandonato gli psicologi ancor prima del varo della legge Ossicini. Subito dopo si è trasferita altrove la psicologia del lavoro: piuttosto che il titolo di studio del professionista, in azienda si apprezzano più i risultati conseguiti. Nel mondo della formazione essere psicologo è più un handicap che una carta di pregio. Sta migrando altrove anche la psicologia giuridica, sempre più insidiata dal fascino interdisciplinare della criminologia. Nella psicologia dello sport, dove il trasloco è ormai completato, è assai più adeguato qualificarsi come coach e non come psicologo.

La psicologia umanistica resiste alla tentazione, ma siamo agli sgoccioli: là fuori ad attenderla il sempre più robusto mondo del counseling. Quando la psicologia non trasloca viene sfrattata. Gli educatori stanno tentando di liberarsi degli psicologi che "abusivamente" esercitano la professione di educatore...

La psicologia, dal mio punto di vista, è disciplina "orizzontale" necessaria in ogni dove; compito primario dello psicologo è trasmettere competenze psicologiche. Trasmettiamo competenze psicologiche all'individuo quando facciamo terapia (ciò ci differenzia profondamente dai medici che per "curare" solo molto marginalmente trasmettono competenze mediche, prevalentemente "tagliano", "cuciono", "aggiustano"). Persino in fase diagnostica la trasmissione di competenza è centrale tanto che assai spesso il percorso diagnostico in psicologia diventa esso stesso terapia. Trasmettiamo competenze psicologiche agli individui o ai gruppi quando ci occupiamo di psicologia giuridica o di psicologia dello sport o di psicologia del lavoro. Lo stesso quando ci occupiamo di rapporti di coppia o di organizzazioni o di formazione.

 Assumendo questo punto di vista, la nostra disciplina sarà tanto più ricca quanto più ibridata. La competenza psicologica non è una tecnica, è una "maturazione" tesa verso l'equilibrio tra l'ambiente proprio e quello "altro". Tra l'interno e l'esterno. Equilibrio per perseguire il quale non una ma infinite tecniche sono plausibili e mai una sola è decisiva. Il sapere multidisciplinare, quello della filosofia, della medicina, dell'antropologia, della fisica, dell'etologia, della sociologia e della letteratura e altro ancora, sta all'origine della psicologia. Noi abbiamo dal mio punto di vista il dovere professionale ed etico di rimanere collegati a tali saperi.

Il mio impegno, e quello dei colleghi che mi onoro di rappresentare, è quello di cambiare le regole e non quello che erroneamente ci viene attribuito, di abolire ogni regola. Anzi, seguendo il modello accreditatorio che ispira il nostro lavoro, la selezione sarebbe certamente più rigida (ma anche più sensata) rispetto a quanto attualmente avviene.

L'organizzazione professionale di questo nostro articolato mondo dovrebbe a mio avviso essere impostata su politiche accreditatorie che consentano:

a)Di fornire al cliente/utente/paziente una informazione chiara e corretta circa le competenze professionali ed i titoli formativi del professionista cui si rivolge.

b)Di differenziare tra loro le varie professioni attraverso associazioni professionali (reti) specifiche che garantiscano il cittadino circa le competenze e le specificità di ogni singola professione.

c)Di differenziare tra loro le professioni attraverso il convenzionamento con stazioni appaltanti che richiedano specifiche competenze professionali (esempio la convenzione MoPI- Unisalute aperta a soli psicoterapeuti o l'analoga convenzione sulla psicologia dell'emergenza e psicotraumatologia).

d)Di differenziare tra loro, all'interno di una stessa professione, i professionisti tenendo conto:

- della fattività dell'esercizio professionale (da verificare periodicamente)

- del loro costante aggiornamento (da verificare periodicamente)

- delle loro specializzazioni possedute ed effettivamente praticate (da dimostrare periodicamente)

- della anzianità di esercizio professionale realmente maturata.

Per ogni singola professione dovrebbero essere individuati almeno tre livelli verticali nei quali collocare il professionista (basic, senior, supervisor) e un numero più ampio possibile di livelli orizzontali (le specializzazioni)

e)Di differenziare tra loro i professionisti prevedendo una mobilità di carriera (chi perde nel tempo dei requisiti scende di livello, al contrario chi è più meritevole sale rapidamente di livello)

  1. f) Di tenere unite le tante differenze descritte attraverso politiche che favoriscano il lavoro interdisciplinare, la creazione di studi associati, il passaggio da una professione ad altra limitrofa in modo fluido, con la semplice acquisizione delle competenze mancanti.

Io sono psicologo. Mi fa piacere che la psicologia possa vivere anche al di fuori delle proprie istituzioni. Mi intristisce però questa situazione e, come sempre, continuerò a lavorare per far sì che queste nuove scissioni vengano superate, per far sì che nella casa della psicologia ci sia posto per le differenze, per la pluralità, per il benessere e per tutte le infinite professioni che il nostro sapere ci consente di costruire in collaborazione con i tanti altri saperi che abitano il mondo.

 

 

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