Carl Rogers e il Counseling

IMPRESSIONE DI UN SOLE CHE SORGE

(Commento e traduzione di R. Cancellari)

 

Ho voluto dare il titolo Impressione di un sole che sorge al commento a questo articolo di Carl Rogers, che ho avuto occasione di tradurre dalla lingua originale, derivandolo dal titolo del celebre quadro di Monet, che ha segnato l’inizio della corrente impressionista, perché, come Monet; Rogers, abbandonando precostituite impalcature mentali, ha avuto il coraggio di vedere la realtà come essa appare, oltre il velo delle proprie proiezioni intellettive. Questa visione limpida, questo sole che sorge, appunto, ha permesso loro di dare inizio ad una nuova era. Monet nel campo dell’arte, ha gettato le basi dell’arte moderna e Rogers, nel campo della psicologia, ha dato vita ad una nuova moderna gestione della relazione terapeutica.

Egli

«fu il primo a democratizzare la relazione terapeutica e ad indicare che la qualità di tale relazione determina i risultati di ogni psicoterapia, divenendo, in tal modo, il primo a teorizzare e poi fare ricerca su quella che diventerà, in seguito, la teoria dei fattori comuni nelle psicoterapie e cioè che, come tutte le ricerche mostrano, l’alleanza terapeutica è la maggiore variabile predittiva del successo di ogni psicoterapia»

 

(Maurizio Mottola, Conversazione su Carl Rogers e la psicoterapia - I parte, NuovaAgenzia Radicale - 04/05/07)

Questo credo sia uno dei più importanti sviluppi del suo approccio centrato sul cliente, “la possibilità nuova ed entusiasmante” da lui preconizzata, in quanto ormai, è un dato di fatto,confermato dalla ricerca, che, qualunque sia l’approccio psicologico che il professionista adotta nella relazioni d’aiuto, instaurare con il cliente un rapporto avente le caratteristiche rogersiane e cioè, empatico, accogliente e non giudicante, è di per sé, comunque, fonte di sostegno al cambiamento. Rogers, inoltre, dalla sua esperienza terapeutica e dalla sua predisposizione ad accogliere il “vero”, ha derivato alcuni principi fondamentali, che hanno dato vita, negli anni ’50/’60, alla corrente della psicologia umanistica, di cui è uno dei padri fondatori. Tale corrente evidenzia l’importanza delle risorse e delle potenzialità insite in ogni individuo e sostiene, in contrapposizione al determinismo e al meccanicismo dei due orientamenti predominanti in quegli anni, la psicoanalisi ed il comportamentismo, che no sono le pulsioni istintuali a motivare il soggetto, ma il bisogno di conoscere, esprimersi, avere relazioni gratificanti, ed auto realizzarsi. Questo articolo, scritto da Carl Rogers nel 1946, è molto importante per comprendere lo sviluppo del pensiero rogersiano, il suo modo di procedere nella ricerca tesa a mettere a punto gli elementi costitutivi del suo approccio terapeutico, non direttivo e centrato sul cliente “a costruire le sue procedure su ipotesi, che si stanno affermando rapidamente come fatti”.

In particolare, in questo articolo, vuole sottolineare gli aspetti in cui il suo approccio si differenzia più nettamente da altre procedure terapeuticheE’, quindi, un articolo in itinere, che si situa tra il suo precedente testo del 1942, “Psicoterapia di consultazione”, prima opera sistematica sulla professione di Counselor, “in cui è riportato”gran parte del materiale di base del processo della terapia non direttiva, le tecniche e le procedure di counseling” ed il testo fondamentale del 1945 La Terapia Centrata sul Cliente, manifesto del suo pensiero, in cui vengono ampliate le tematiche già affrontate nel precedente libro e in cui vengono divulgate le ricerche effettuate, di pari passo con l’esperienza clinica, nel Counseling Center, da lui fondato nel 1944.

L’occasione che ho avuto di tradurlo mi ha dato, non solo l’opportunità di avvicinare direttamente uno scritto di Rogers e di soffermarmi a riflettere sulla profondità del suo pensiero, celato dietro un’apparente semplicità, ma anche di prendere contatto con le sue parole originali. Man mano che traducevo esse mi guidavano verso una comprensione sempre più profonda, stratificata, dei concetti espressi, con un movimento circolare che, partendo dalla linearità della descrizione, mi ha condotto a quello che ho percepito come il cuore della tematica Rogersiana, il motore di tutta la sua ricerca e di tutto il suo approccio terapeutico e, cioè, la sua fede, la sua “netta e rispettosa fiducia nelle forze costruttive dentro il cliente…forze di crescita, le tendenze all’autorealizzazione”, una fede così totale in loro che lo portano a dichiarare che esse “…possono agire come unica motivazione della terapia”. 

Questo movimento circolare, che come in un mandala ci conduce gradualmente verso il centro di energia, che sorregge tutto il sistema, la fede dell’uomo nell’uomo, appare subito evidente nella descrizione dei tre elementi individuati come caratterizzanti il suo approccio terapeutico. Infatti, sebbene ponga al primo posto la prevedibilità dello sviluppo terapeutico, al secondo le capacità del cliente, al terzo il tipo di relazione che si istaura con lui, quello che è stato posto come secondo elemento, la scoperta delle capacità del cliente, è l’elemento centrale, rispetto al quale il primo è una conseguenza e il terzo è una condizione. 

A conferma di ciò cito le parole di Rogers che, per quanto riguarda la prevedibilità del processo terapeutico, dichiara: “Fondamentalmente, la ragione della prevedibilità del processo terapeutico, sta nella scoperta… che dentro il cliente risiedono forze costruttive, la cui potenza e uniformità sono state del tutto, o non riconosciute, o grossolanamente sottovalutate” e per quanto riguarda la natura del rapporto che si instaura tra paziente e terapeuta, egli dichiara che: “Queste forze si dispiegheranno se le competenze del terapeuta sono focalizzate sulla creazione di un clima psicologico in cui il cliente può lavorare”e che il tipo di relazione che si istaura tra cliente e terapeuta è importante perché le forze “... sono liberate spontaneamente nell’individuo che si trovi in un ambiente psicologico adatto”.

La centralità è confermata dal fatto che dal loro riconoscimento deriva il nome dato all’approccio.“ È dal graduale e crescente riconoscimento di queste capacità all'interno dell'individuo… che, credo, derivi la scoperta del termine terapia-centrata sul cliente”. Per Rogers queste forze possono guidare la persona a guarire dal disagio psichico, a crescere e a sviluppare in pieno il proprio potenziale, condurla alla autorealizzazione, che è molto di più di un adattamento alla realtà, ma è  ’esplicazione della propria vera, unica, originale, essenza. Egli ritiene che la malattia psichica è una distorsione dello sforzo che l’individuo compie per attuare le sue potenzialità quando l’energia, che lo spinge naturalmente verso ciò che è bene per lui, viene ostacolata dai problemi sorti nel momento dello sviluppo della personalità. Gli introietti disfunzionali, e cioè idee, pensieri e sentimenti degli altri non funzionali al proprio vivere, gli accadimenti traumatici che hanno creato o creano ansie e tensioni, l’essere sulla difensiva, bloccano la sana spinta della persona verso il suo bene ed essa perde il contatto con se stessa e con la sua autenticità. Compito del terapeuta è quello di mettere questa forza in condizione di agire per eliminare questi ostacoli. Queste forze agiscono nell’individuo in un modo intelligente “in un modo che non provoca dolore, e alla profondità giusta per un tranquillo adattamento…” e lo conducono ad “…esplorare le sue attitudini e i suoi sentimenti, compresi quelli che sono stati negati alla coscienza… il cliente, sta esplorando, passo per passo, quelle zone pericolose che sono state negate alla coscienza”. Queste affermazioni di Rogers nel descrivere il modo di agire delle potenzialità del cliente, che “la nostra casistica e, sempre di più, la nostra ricerca confermano”, mi sembra sfatino una delle critiche più comuni rivolte al suo metodo e cioè che non tenga conto dell’inconscio.

La presenza di queste forze nel cliente è venuta in rilievo a molti professionisti della relazione d’aiuto ma, ciò che li differenzia da Rogers, è che essi hanno dato loro una fiducia molto relativa, nel senso che le hanno utilizzate per indirizzare verso la direzione che ritenevano più giusta e salutare per il cliente, non potendo ammettere che“a differenza di altre terapie, in cui le competenze del terapeuta devono essere esercitate sul cliente, in questo approccio le competenze del terapeuta sono focalizzate sulla creazione di un clima psicologico in cui il cliente può lavorare”

Nell’approccio rogersiano, infatti, il terapeuta non interviene più, non vuole intervenire con “l’uso consapevole di tecniche diverse in modo flessibile, cambiando, cioè, le tattiche per adattarsi alle particolari necessità del momento” ma “utilizza solo le procedure e le tecniche di colloquio atte a trasmettere la sua profonda comprensione degli atteggiamenti emotivi espressi e la sua accettazione di essi”.

Quindi, non è solo il riconoscimento di queste forze che caratterizza il terapeuta centrato sul cliente, ma il fatto che egli “ha imparato che si può fidare delle forze costruttive che sono nel singolo individuo e che, quanto più profondamente sono fatte valere tanto più profondamente vengono rilasciate” per cui la posizione di base del terapeuta è che egli ha fiducia in questa forza, una fiducia molto importante per il buon risultato della terapia, in quanto da essa dipende la fiducia del cliente nelle proprie capacità … Si tratta di una fiducia di cui i clienti possono farsi carico, se guidati da un esperto, una fiducia che il cliente può assimilare per intuizione se è, in primo luogo, data a lui da parte degli esperti in materia”.

Il terapeuta non solo deve avere fiducia ma, anche, saper rimandare questa fiducia al cliente, che così rinforza la propria. A tal fine Rogers, come uno scienziato, ha definito le caratteristiche che pongono in atto il clima psicologico giusto per permettere la valorizzazione del materiale umano. Egli descrive minuziosamente quali sono gli atteggiamenti da tenere perché ciò avvenga: empatia, accoglienza, atteggiamento non giudicante e il profondo convincimento che ognuno è responsabile della propria vita e, non ultimo, il rispetto di questa responsabilità. Questi atteggiamenti, per essere efficaci devono essere genuini, profondamente radicati nella personalità del counselor, che è chiamato, quindi ad un continuo percorso individuale verso il disvelamento della propria autenticità il counselling centrato sul cliente, se vuole essere efficace, non può essere un trucco o un utensile. non è un modo sottile di guidare il cliente facendo finta di considerarlo guida di se stesso. per essere efficace, deve essere genuino“…per cui oltre “le competenze di base occorre possedere certe attitudini”.

Le domande e i dubbi, che sorgono ad applicare tale approccio, vengono chiaramente poste e riportate nell’articolo da un praticante di questo metodo, che ci dice come in teoria “la tecnica sembra ingannevolmente facile da padroneggiare” ma poi, nella pratica, ci si accorge che “si tratta di focalizzare e sensibilizzare le proprie energie e la propria personalità verso un atteggiamento di apprezzamento e di comprensione”.

Un approccio in cui l’unica certezza che si ha è confidare nell’azione della forza rigeneratrice del cliente, senza intervenire a indirizzarla verso la via che si ritiene più giusta applicando una tecnica e anche un’altra, in cui non hai, come in altri metodi “la possibilità di definire gli strumenti, per raccoglierli ed utilizzarli all’occorrenza, ma… l’accoglienza autentica e la comprensione sono i vostri strumenti, si richiede, niente di meno che, il coinvolgimento completo dell’intera vostra personalità” e ti porta “a controllare, rigorosamente, te e il tuo atteggiamento verso gli altri”; a porti degli interrogativi su ciò che credi nel più profondo del tuo essere, se “credi veramente che tutte le persone hanno un potenziale creativo in loro.. che ogni individuo è unico e che solo lui può realizzare la propria individualità…o, in realtà, ritieni che alcune persone sono di “valore negativo” e altre sono deboli e devono essere guidate, controllate da altri più saggi e più forti?” 

Un approccio terapeutico in cui il counselor è chiamato ad interrogarsi continuamente su se stesso, per verificare se le tecniche che mette in atto sono parte del suo essere e si rispecchino nel suo stile di vita. In sintesi dunque nell’approccio rogersiano tutto ruota intorno al riconoscimento di queste forze e, ancor più profondamente, come già detto, nella fede in loro del terapeuta centrato sul cliente. Un approccio terapeutico la cui costruzione può essere letta come un percorso di fede, non dogmatico ma aperto e sperimentale, di una terapeuta coraggioso che, abbandonandosi al corso della sua’esperienza clinica, e accogliendo ciò che emergeva dai vari casi trattati, ha spostato l'attenzione del lavoro psicoterapeutico dalla risoluzione del problema al facilitare l’emersione delle risorse interiori dell’individuo.

Una fede incrollabile nella natura fondamentalmente buona e sana delle persone e nella forza rigeneratrice situata nel profondo di ognuno, ma anche fattiva, nel senso che egli studia metodi e tecniche perché ciò in cui crede possa incarnarsi e, per vincere il dubbio e continuare a credere, sottopone tutti gli elementi del suo approccio “…all’indagine scientifica …ad una verifica o smentita dei metodi di ricerca”. Ho detto terapeuta coraggioso perché Rogers, per realizzare ciò in cui crede, e cioè che le forze del cliente possono agire come unica motivazione alla terapia, rinuncia ad avere il controllo nel rapporto terapeutico, non progetta più la strada in anticipo per raggiungere una meta stabilita in base alle sue competenze diagnostiche, ma costruisce un approccio tutto giocato nel presente della relazione, in cui la strada si rivela vivendola. Allora mi sembra che, se si vuole utilizzare l’approccio rogersiano in modo totale ed autentico, come counselor o terapeuti occorre avere la totale fede di Rogers nella “Persona”, perché, altrimenti, “si stenta ad aver fiducia nelle direzioni che prende il cliente” ed occorre avere, come lui stesso dice, oltre “le competenze di base” anche “certe attitudini” per creare il clima psicologico giusto”, che immagino significhi la sua stessa predisposizione umana all’empatia all’accoglienza, al non giudizio. Quindi, fede e attitudine come elementi di base e, poi, solo successivamente, entra in gioco anche la volontà “la volontà di accettare pienamente questa forza del cliente” abbandonando l’uso di altre tecniche.

Sicuramente, qualunque sia l’approccio terapeutico che si usa, instaurare una relazione con il cliente con le caratteristiche rogersiane è, come detto all’inizio, sempre consigliabile e, inoltre, ritengo che Rogers sia un terapeuta che vale la pena di conoscere ed approfondire, per avere ispirazioni salutari, sia come persone che come professionisti della “relazione d’aiuto”.

In conclusione e per dimostrare che ogni esperienza di fede autentica si dilata e agisce anche a livello comunitario per un servizio e una responsabilità sempre più ampia, vorrei sottolineare lo sviluppo che ha avuto la tecnica di Rogers per dirimere i conflitti internazionali. Nell’articolo egli dice che il suo approccio sta dimostrando di avere implicazioni anche in ambiti diversi dalla psicologia clinica e “ha anche, crediamo, profonde implicazioni per la gestione dei conflitti sociali e di gruppo… È in corso l’applicazione di queste procedure per gruppi di persone, gruppi interrazziali, gruppi con problemi personali e tensioni.” applicazione che sfocerà, alla fine degli anni ’60, nell’ “Istitute of pace”, istituto fondato da Rogers, insieme ad alcuni colleghi, per lo studio e la risoluzione di conflitti. Qui egli ha svolto, basandosi sul suo approccio, lavoro di prevenzione e gestione dei conflitti con i rappresentanti di numerosi gruppi in posizione di contrasto in varie parti del mondo. A seguito di questa sua attività pacifista, nel gennaio del 1987 viene candidato per il premio Nobel per la pace, candidatura che non ebbe seguito poiché, il mese successivo, il 4 febbraio 1987, Carl Rogers muore, per un attacco cardiaco, all’età di 85 anni.