Le caratteristiche del gruppo

 Si vince se vincono tutti

(di S. Masci)

Quello che si è capito negli ultimi anni, relativamente a organizzazioni dove convivono persone accomunate da stessi obiettivi si può riassumere in quattro punti:  

  1. la partecipazione è importante;  
  2. il gruppo funziona generalmente meglio delle sue singole parti;  
  3. il processo (come si fa qualcosa) influenza i risultati (quello che si è fatto)  
  4. la motivazione è la spinta propulsiva.  

Esaminiamo questi punti in dettaglio.

La partecipazione è importante

I membri del gruppo realizzano il loro destino non perché sono simili l’uno all’altro, bensì perché un gruppo esiste quando le persone al suo interno realizzano il destino del gruppo stesso. Pensiamo alla storia del popolo ebraico, il loro destino comune ha fatto di loro un gruppo fortemente coeso, anche se costituito da individualità ben separate.  

Allo stesso modo un gruppo di lavoro può funzionare bene anche se non costituito su criteri di omogeneità. Immaginate il team della Ferrari dove tutti sono piloti eccezionali e nessuno sa cambiare gli pneumatici in meno di dieci minuti o fare i biglietti aerei per muoversi tra un GP e l’altro.

Le persone in un gruppo devono avere la loro personalità e mantenere la loro individualità. Ovviamente a patto che ciò non vada contro gli obiettivi del gruppo. Nel caso in cui il successo del singolo è vincolato al fallimento di un altro (competizione e conflitto), si viene a creare una potente dinamica che sfascia il gruppo.  Partecipare al raggiungimento dell’obiettivo comune con processi e modalità condivise innesca invece dinamiche funzionali al gioco di squadra in cui si vince se vincono tutti.  

Il gruppo funziona generalmente meglio delle sue singole parti

C’è un racconto molto bello di un professore di logica che riporta la conversazione tra un formichiere, Achille e una tartaruga. Il formichiere racconta ai suoi amici le lunghe chiacchierate che ha con i formicai e di come trovi questi colti e interessanti. Achille si stupisce, avendo sempre ritenuto le formiche stupide e insignificanti. Il formichiere ribadisce che lui non ha mai detto di parlare con le formiche, bensì con i formicai!

Achille: Questo fa pensare che vi debbano essere delle formiche estremamente intelligenti in quel formicaio.

Formichiere: ho l’impressione che lei ancora non si sia liberato del tutto delle difficoltà di comprendere questa differenza tra livelli. Proprio come un singolo albero non va confuso con la foresta, così una formica non va confusa con il formicaio. Naturalmente tutte le formiche di Furio-Caio (il formicaio) sono mute come pesci. Non parlerebbero neanche a morire.

Tartaruga: mi sembra che la situazione sia qui analoga a quella del cervello umano che è composto di molti neuroni. Certamente nessuno affermerebbe che le singole cellule cerebrali debbano essere individualmente intelligenti perché una persona possa avere una conversazione intelligente.

La Tartaruga centra un punto molto importante per la teoria dei gruppi. Il cervello è composto da circa 10.000.000.000 di neuroni che, se ci limitassimo ad analizzare il loro compito, di certo non li troveremmo intelligenti. Infatti l’unica noiosa decisione che il neurone deve prendere nella sua vita è: scarico o non scarico? Questo dubbio, che all’apparenza potrebbe essere amletico e ricco di interpretazioni, è in realtà alquanto carente di consapevolezza esistenziale.

Occorre in verità sottolineare che tale neurone pigro e privo di interessi, era parte integrante del cervello di persone come Albert Einstein o Wolfang Amedeus Mozart. Allora?

Come dice Hofstadter, Cogito ergo Summo: penso quindi sommo - i neuroni.

Questo ci porta a affermare che solo attraverso la collaborazione dei singoli neuroni è possibile l’intelligenza dell’uomo, e per analogia possiamo affermare che solo attraverso la collaborazione dei singoli membri di un gruppo è possibile far uscire l’intelligenza gruppale.

Preferisco la dizione di Intelligenza Gruppale - IG - a quella che Lewin chiamava la mente gruppale.

Parlare di mente può far scattare l’associazione inconscia con razionalità  e quindi con l’aspetto cognitivo dell’essere umano. L’IG è qui intesa nell’accezione che Daniel Coleman dà di Intelligenza Emotiva, facendo in questo caso riferimento al gruppo. Ovvero come l’insieme: della conoscenza emotiva, le dinamiche che hanno attraversato il gruppo facendolo crescere senza disgregarlo, e cognitiva, la possibilità dell’elaborazione delle informazioni e del recupero della memoria del gruppo.

L’IG è la somma del contributo dei singoli partecipanti in termini di creatività, emozioni, relazioni, intuito, professionalità e dell’elaborazione che il gruppo ha fatto di tutto questo.

Il processo influenza i risultati

Il gruppo di Paolo deve consegnare un lavoro a un cliente importante per l’azienda. In poco tempo deve realizzare un sito web, per cui deve assemblare insieme competenze diverse che vanno dalla creatività grafica agli skill tecnici. Paolo mette in piedi il gruppo attingendo dal personale, tutto molto preparato, della sua compagnia. Le competenze ci sono, l’obiettivo è noto, la leadership è indiscussa così come il management, l’unica cosa che manca è come procedere.

Questo non è un caso di fantasia, ma realmente accaduto in una azienda romana. Il procedere non è, ovviamente, inteso come tecniche di Project Management, bensì come gestire il processo e le relazioni in un gruppo così eterogeneo. Un errore commesso all’inizio può significare il fallimento del progetto.

Lasciare massima libertà o definire regole ferree? In taluni casi può essere utile seguire una strada, in altri no: dipende dalle varie situazioni. Ricordando che il processo condiziona il risultato, impariamo prima a capire con chi abbiamo a che fare - clienti, collaboratori, consulenti esterni, capi… - poi iniziamo a applicare piccole variazioni.

Mettiamo in piedi quello che si definisce un sistema self-consistent, in cui si procede e si ricicla.

La barca è in mare con la prua puntata verso la nostra meta, ma il timone non è bloccato, occorre tener presenti le correnti, piccoli errori commessi all’inizio sul punto, un’onda più insidiosa delle altre. I piccoli aggiustamenti di rotta, sono inevitabili. Sono quelli che permettono al gruppo di essere più efficace. Le strategie da applicare sono quelle che affronteremo in dettaglio nel paragrafo del Kaizen. Non esiste una strategia granitica, inamovibile una volta definita. Ce ne possono essere tante o tanti e diversi aspetti della stessa. Per cui non preoccupatevi a investire giorni per definire esattamente all’inizio, fin nei minimi particolari, le caratteristiche del processo, sarà inevitabile modificarlo in corso d’opera. Avendo a che fare con individualità, personalità distinte, che interagiscono diversamente in funzione del contesto in cui sono immerse, le variabili da tenere in considerazione sono troppe: l’unica cosa è provare.

Una massima zen recita: Io sento e dimentico; Io vedo e ricordo; Io faccio e comprendo.

Può accadere, e accade spesso nei gruppi eccellenti, che esca un’idea che porta il gruppo all’insight. L’intero processo subisce un grosso cambiamento, una virata brusca. Il contesto in cui il gruppo opera cambia, i componenti adottano modelli di pensiero differenti da prima. L’IG si modifica e il risultato, l’obiettivo preposto, ne è inesorabilmente influenzato. Il bravo manager/leader, conosce e riconosce tale processo e non solo non ne è spaventato, ma lo stimola.

La motivazione nei gruppi 

Cos’è che vi motiva nel vostro lavoro? Che cosa vi spinge, mattina dopo mattina, a entrare in quell’edificio, timbrare un badge, rispondere a un telefono o compilare un documento? Potete anche pensarci alcuni minuti prima di rispondere.

Nell’attesa vi posso dire che solitamente si fa riferimento a due tipi di motivazioni che portano i componenti di un gruppo a impegnarsi per lavorare insieme nel miglior modo possibile e per il raggiungimento dell’obiettivo comune: intrinseca e estrinseca.

Nella prima si lavora per piacere personale, per le gratificazioni che uno si prende a prescindere dalle considerazioni dei superiori e dei colleghi. Sempre nella consapevolezza dell’appartenenza a un gruppo. È la soddisfazione che interviene dopo che abbiamo risolto il problema che mandava in crash il server, o il sorriso che ci compare sulle labbra dopo che il cliente ha accettato l’estensione del contratto. È quella sensazione piacevole che ci accompagna a casa e ci fa dire a nostra moglie/marito: “Scegli tu il ristorante, stasera ceniamo fuori”.

Nella motivazione estrinseca, invece, i fattori predominanti ci vengono dati dall’esterno e sono: gli aumenti di stipendio, l’avanzamento di carriera, le gratificazione dei capi.

Ovviamente nell’arco di una vita aziendale si oscilla molte volte tra queste due fasi. In alcuni momenti piace il proprio lavoro al punto che le gratificazioni si trovano all’interno di quello che si fa, o di come viene fatto. In altri momenti si è alla ricerca di forti motivazioni esterne e conferme da parte dei capi. In alcune situazioni può succedere che trovandosi in un punto della curva OA, si passi rapidamente ad un altro nel tratto OA’ (o vice versa), senza continuità. Come fosse un salto quantico. Può essere scatenato da una presa di consapevolezza su ciò che vogliamo da noi e dal nostro lavoro o dalla messa in atto da parte dell’azienda di meccanismi di incentivi (aumenti di stipendio, avanzamento di carriera, arricchimento della mansione, ecc.). Meccanismi di incentivi possono essere anche minacce di emarginazioni, mobbing e licenziamenti.

Ovviamente ci sono momenti e situazioni che rendono stabile la motivazione del singolo o del gruppo e che possono essere rappresentati graficamente da una buca nella curva OB in cui si è “scivolati”. Fintanto che non si modifica la situazione bloccante o intervengono forze a spostare l’equilibrio a sinistra o a destra, si rimane lì. In un limbo senza troppe emozioni forti o fenomeni propulsivi.

La motivazione dipende così dagli obiettivi che di volta in volta focalizziamo e di come questi vengono influenzati e si influenzano all’interno di un gruppo.

Allora siete pronti per rispondere alla domanda che vi avevo fatto all’inizio? No? Vediamo come facilitarvi.

Abbiamo visto nella definizione di gruppo che i membri concorrono nella realizzazione dell’obiettivo. Nella vostra esperienza di gruppo contestualmente al luogo dove lavorate, quale secondo voi possono essere gli obiettivi e dove collochereste i punti di criticità nel raggiungimento di questi? Ricordate che gli obiettivi sono là dove punta l’ago della vostra bussola e che la bussola a sua volta è lo strumento per raggiungerli.

Provate a stilate un elenco delle dieci cose più importanti, (ovviamente per voi e non secondo la vostra azienda) che vi motivano nell’alzarvi presto per andare a lavorare ogni giorno e mettetele nella prima colonna della Tabella 1. Nella seconda colonna inserite il grado di importanza da 1 (poco importante) a 10 (molto importante), senza ripetere i numeri. Riguardate il tutto e dopo l’ultima occhiata d’insieme, e gli eventuali riaggiustamenti, inserite nella terza colonna, di fianco a ogni voce, una “D” per evidenziare quali di queste voci dipendono da voi, una “P” se c’è una dipendenza parziale dalla vostra volontà e una “I” se le motivazioni sono totalmente indipendenti da voi.

Ad esempio avere uno stipendio come quello di Bill Gates - se non siete Bill Gates - può essere molto importante (10), ma indipendente dalla vostra volontà (I). Invece trovarsi in un gruppo efficiente che lavora in armonia può avere importanza 9 e dipendere anche dal vostro contributo (D).